Salvare la residenza

i cetacei del centro

 

di Paolo Ermini

 

Lamentarsi per l’assalto del turismo mordi e fuggi si può, ma non sarà così che salveremo i nostri centri storici. A cominciare dal centro di Firenze. Per anni in tanti, anzi in troppi, si sono compiaciuti del flusso crescente di ricchezza che ci portano i visitatori -chi per mezza giornata e chi per una settimana- senza mai farsi una domanda sul futuro, sulla capacità di una città abbastanza piccola ma parecchio delicata di far fronte a un flusso impetuoso di ingressi, sulla necessità di capire che anche i fenomeni più positivi vanno governati e alimentati con saggezza. Un solo obiettivo: vendere e incassare, come se i frutti dell’albero della cuccagna fossero infiniti. Ma non c’è da stupirsi: Firenze è da sempre città più di commercio che d’impresa e quella mentalità un po’ bottegaia che spesso ha fatto da impaccio a uno sviluppo più virtuoso non è l’effetto del caso. Ora bisogna cambiare strada. Il turismo sta cambiando pelle e anima. In tutto il mondo. L’irruzione dei cinesi ha stravolto tutti i numeri, la globalizzazione ha cambiato la ripartizione della torta. Secondo l’organizzazione mondiale del turismo gli arrivi internazionali sono passati dai 25 milioni del 1950 ai 436 milioni del 1990 e al miliardo e tre del 2017. L’Italia occupa il quinto posto, in Europa Francia e Spagna vanno meglio di noi e la concorrenza cresce. Che fare, dunque?

Primo: capire le tendenze in atto. Accanto al turismo classico, legato all’arte e alla bellezze naturali, sta prendendo campo il turismo legato all’industria creativa: gastronomia, design, cinema, musica. E anche artigianato, naturalmente. Tutto questo attira un turismo di qualità, che si lega alla cultura, più che alla disponibilità di denaro. Il Made in Italy può essere un volano straordinario per una diversa politica turistica.

Secondo punto: adeguarsi velocemente ai processi di innovazione. Basti dire che il 50 per cento delle prenotazioni avvengono ormai online e che tutte le scelte e le esperienze di viaggio passano dal web. Un mondo in cui i piccoli imprenditori devono poter competere con i colossi del settore quali sono ad esempio Expedia e Booking. La partita non è persa in partenza, in un campo in cui l’offerta di nicchia può premiare (Tripadvisor fa miracoli).

Terzo punto: incrementare la formazione del personale (sia di sala che di gestione) e varare un sistema di regole uguali per tutti, come chiede con insistenza Bernabò Bocca, di Federalberghi, per mettere fuori gioco i furbi dell’abusivismo.

Quarto punto: far fronte all’overtourism , cioè alla saturazione che fa scoppiare le città d’arte, compromettendo l’efficienza dei servizi e provocando la fuga dei residenti dai centri storici. Le cause le conosciamo: la legge della rendita fa salire gli affitti di case e fondi, la possibilità di guadagnare apre ai turisti le porte degli appartamenti. L’overtourism si contrasta con la diversificazione delle mete per decongestionare i principali percorsi turistici e con una catena di misure a tutela di chi ancora lavora e vive nel cuore delle città. Un po’ come per i cetacei dell’arcipelago toscano: vanno salvati, nel loro habitat.

Firenze non parte da zero. Gli accordi conclusi dall’assessore Del Re con gli altri Comuni per allargare la Firenze Card ai musei dell’area metropolitana va nella giusta direzione e la realizzazione di insediamenti abitativi nell’ex carcere delle Murate sono passi nella direzione giusta. Come le regole contro il mangificio e le intese fiscali con Airbnb. Ma il ritardo è enorme. Soprattutto sul piano culturale. Tutti gli studi internazionali ci dicono che il turista dei tempi nuovi chiederà prima di tutto identità. Perché vuole condividere esperienze di vita con chi vive nei luoghi che visita. Allora immaginatevi un turista nella nostra piazza del Duomo: troverà mai uno straccio di fiorentino o fiorentina con cui condividere l’emozione della Cupola, di una bistecca o di un verso di Dante?

 

Fonte: Corriere Fiorentino, https://corrierefiorentino.corriere.it/