Riccardo Muti “Io e Eduardo delusi dalla politica”

Alla vigilia degli ottant’anni il grande direttore d’orchestra si racconta tra la musica, Napoli e l’incontro con De Filippo
di Leonetta Bentivoglio
Tra le molte ragioni per festeggiare – il 28 luglio – l’ottantesimo compleanno del direttore d’orchestra Riccardo Muti, spiccano virtù quali l’amore per la bellezza, il culto del perfezionismo, un’idea etica profonda del lavoro e le battaglie per un sistema didattico serio e capillare. Pensiamo anche a quanto Muti, star internazionale, sia connesso alla sua terra. Ha un orgoglio d’appartenenza all’Italia che porta in giro nel pianeta come una bandiera. Poi c’è la sua speciale passione per Napoli, dov’è nato nel 1941. Con questa città meravigliosa e difficile ha avuto sempre un’intima adesione, definendola con orgoglio «una grande capitale culturale europea». Di certo Muti è un genio galantuomo, come lo fu il suo conterraneo Eduardo De Filippo, e se applicate ad Eduardo l’elenco dei motivi, stilato all’inizio di quest’articolo, per cui Muti è un campione da ammirare e ringraziare, vedrete com’è adattabile al leggendario drammaturgo-regista-attore napoletano. Per Muti il tramite è la musica; per Eduardo (1900-1984) fu il teatro. Ma al di là dei rispettivi campi, i temperamenti sono analoghi nella solidità dei princìpi, nell’impegno con i giovani, nella lotta per la diffusione dell’arte e nell’amarezza suscitata in loro dalle proprie aspettative deluse riguardo alla cultura e al fatto che in Italia non sia sostenuta.
Maestro Muti, ha conosciuto Eduardo?
«Sì, a Firenze, quand’ero direttore musicale del Maggio Musicale Fiorentino e lui presentava spettacoli al Teatro della Pergola. Una sera eravamo a cena con mia moglie Cristina e lui ci donò una foto coi nostri nomi e una frase: “Le parole non contano”. Conversammo spesso sulle regie. Come Strehler, Eduardo immaginava la scena del trionfo nell’ Aida non espressa in una spettacolarità ridondante, perché il trionfo sta già tutto nella musica».
Come lo rammenta?
«Cordiale nel privato e severo nel lavoro, esigentissimo con la sua compagnia. Una volta un attore disse male una battuta e lui interruppe la recita: “Non ha pronunciato bene la frase, per favore la ripeta”. Aveva un volto segnato dalla sofferenza ed era geniale il suo modo di esprimere intere situazioni con uno sguardo. Lui e Totò hanno incarnato Napoli nelle luci e nelle ombre. Mi viene in mente quel capolavoro intraducibile che è la scena del film L’oro di Napoli , in cui Eduardo spiega il senso del pernacchio come filosofia di vita.
Ricordo pure molte piccole storie buffe su di lui».
Ce ne racconti un paio.
«A Napoli una sera Eduardo incontra una guardia con un cane che ha una benda sulle orecchie.
Spiega a Eduardo che i ladri avevano sparato al cane ferendolo, e alla fine del discorso il cane prende ad abbaiare. Lo sentite, Don Eduà? Mo’ o cane ve sta raccuntanno o’ fatto, gli dice la guardia. Secondo episodio: Eduardo era sempre in teatro molto prima dello spettacolo.
L’attrice Tina Pica, quando arrivava, lo salutava passando davanti al suo camerino chiuso da una tenda. Buonasera Don Eduà. Buonasera Titì, replicava lui. Un giorno la troupe combinò uno scherzo: un attore che imitava alla perfezione la voce baritonale della Pica salutò Eduardo più volte, e quando arrivò la vera Pica Eduardo, sentendo l’ennesimo saluto, si arrabbiò. Durante il ricevimento organizzato dopo lo spettacolo, Eduardo s’avvicinò alla Pica e lei lo apostrofò: chi siete voi? Non vi conosco!».
Torniamo al parallelo con Totò.
«Tra loro c’erano differenze.
Eduardo descrisse la piccola e media borghesia napoletana, mentre Totò era la Napoli della miseria e della fame. Eduardo coglieva aspetti di un ceto più o meno benestante e li universalizzava. Ma entrambi riflettono la tragica maschera partenopea. Una tragedia che non prescinde dalla comicità.
L’importante, riferendosi a Napoli, è non ridurla a stereotipi.
Eduardo polemizzava contro la napoletanità superficiale, sciatta, negativa o feroce. In effetti esiste.
Ma accanto c’è una Napoli gigantesca le cui qualità non sono dimenticabili. Mi riferisco tra l’altro al legame con Virgilio o agli splendori di Federico II, a Giambattista Vico e a Gaetano Filangieri, che contribuì alla stesura della Costituzione americana. O ancora alla Biblioteca dei Girolamini e a quella del Conservatorio, che custodisce le partiture del prezioso Settecento musicale napoletano. Le istituzioni dovrebbero convergere per esaltare le straordinarie peculiarità cittadine. Eduardo ha penato e combattuto per questo, come Roberto De Simone, mente libera ed esponente dell’anima più autentica di Napoli, fondata anche su una teutonicità rigorosa dovuta all’influsso dei Borboni e dei Normanni».
Eduardo criticava la mancanza di educazione dei giovani.
«Per lui il teatro era una fonte irrinunciabile di formazione e si lamentava delle carenze a cui i politici non ponevano rimedio. Io penso le stesse cose rispetto alla musica e ne parlo da una vita.
Mancano le orchestre, l’insegnamento musicale nelle scuole è inesistente, troppi teatri storici restano chiusi… Mi addolora veder cadere il Paese nell’incultura. Campiamo con la rendita di gloriosi trascorsi a cui siamo inadeguati.
Abbiamo un patrimonio culturale immenso che precipita malgrado lo sforzo di alcuni singoli.
Stimo Franceschini, ma una persona sola non basta».
IlConservatorio di Napoli celebrerà tra poco il suo 80esimo compleanno, maestro.
«Il 30 luglio il Conservatorio mi dedicherà una festa con professori e allievi, e il giorno prima dirigerò un concerto a Roma, al Quirinale, in occasione del G20, sul podio dell’Orchestra Giovanile Cherubini e davanti a Mattarella e ai ministri della cultura del mondo. Il 31 sarò a Scampia per lavorare con un’orchestra di ragazzi che meritano il miglior futuro possibile. Il gruppo si chiama “Scampia Musica Libera Tutti”.
Nel luogo dove più attecchisce il male, un ensemble di giovani diffonde il messaggio del fare musica insieme, in nome dell’armonia e della libertà. Come Eduardo sapeva, Napoli è anche questo».
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