Renzi ora minaccia l’appoggio esterno Conte: votino contro

Il premier accetta la sfida, certo che ci siano almeno 50 centristi pronti a sostenere il governo. Ma sospetta una manovra a tenaglia del leader di Iv e di Di Maio per sostituirlo
di Tommaso Ciriaco
ROMA — A sera, gli emissari di Matteo Renzi recapitano a Giuseppe Conte la minaccia definitiva: l’appoggio esterno al governo, che culminerebbe con il ritiro dei due ministri di Italia Viva. Pretendono il rinvio della riforma della prescrizione, non ascoltano ragioni, non accettano la mediazione proposta dal premier. L’avvertimento non viene pronunciato al tavolo tecnico riunito fino a tarda sera a Palazzo Chigi, ma soltanto nei colloqui di alto livello con il premier. Un modo per tenere ancora aperto uno spiraglio di mediazione, prima che tutto precipiti.
Il vertice serale è l’antipasto di quello che potrebbe succedere, un fulmine scagliato contro Palazzo Chigi. I capi delegazione di maggioranza duellano all’ultimo sangue con Maria Elena Boschi. L’ex ministra rifiuta sdegnata un accordo, «per noi esiste solo il lodo Annibali», mentre una velina durissima di Italia Viva si incarica di rendere inutile la riunione già prima che inizi. «La verità – fa trapelare il capo dell’esecutivo – è che Renzi si è isolato, ha scelto l’isolamento».
Non è soltanto una sfida al premier, quella di Renzi. È una provocazione rivolta al Pd, che si era fatto garante della trattativa. Per questo, Dario Franceschini dà ordine di blindare comunque il patto di maggioranza respinto da Italia Viva. E Conte, sostenuto dai dem, sfida i renziani a essere conseguenti: votate pure contro, «così ognuno si assume le proprie responsabilità ». Secondo l’avvocato, tra l’altro, ci sarebbero «almeno cinquanta centristi» pronti a sostenere l’esecutivo in Parlamento.
È il tempo degli ultimatum, anche se i prossimi giorni saranno comunque spesi dai pontieri per provare a ricucire. Conte è preoccupato, preoccupatissimo. «Mettere insieme i puntini », ecco il mandato che si è dato in queste ore di travaglio. Significa capire se davvero Matteo Renzi, alzando all’infinito la posta sulla prescrizione, intenda «lanciare un altro premier », come profetizza da qualche tempo con gli interlocutori più fidati (e come ammette in privato anche lo stesso Renzi, «ma non subito, tra un po’»). E significa anche interpretare le strane mosse di Luigi Di Maio, socio occulto degli “anticontiani” 5S, tentato da un ritorno a destra con un Movimento di duri e puri, a braccetto con Di Battista. Nel dubbio, Conte abbraccia l’accordo che non piace a Iv e lancia sfida: «Renzi è davvero disposto a votare con Salvini?».
C’è un dettaglio, anzi due, che rendono più angosciante il quadro. Renzi non sente Conte da tempo. I due comunicano solo attraverso mediatori dello staff presidenziale e, di recente, attraverso Ettore Rosato, che ha il compito di trattare tra l’altro il rinnovo del folto “parco nomine” renziane, destinato inevitabilmente a ridursi in primavera. Il secondo dettaglio è ancora più inquietante: anche i contatti con Luigi Di Maio sono sporadici, affidati ad Alfonso Bonafede. «Conte? Ne parlasse con il suo amico Alfonso…», pare tagli corto sempre più spesso in privato il ministro degli Esteri. Per tutte queste ragioni, inizia ad assumere un significato nuovo quanto circola da qualche giorno nell’entourage del presidente del Consiglio: Renzi, dicono, avrebbe ripreso a comunicare in qualche modo con Di Maio. Probabilmente per interposta persona, certo non per condividere un futuro comune, semmai per ragionare su un avversario condiviso: Conte, appunto. In mezzo come al solito – si potrebbe quasi dire “per statuto” – si ritrova il Pd. Ieri Dario Franceschini e Andrea Orlando hanno approvato senza indugio (non però con entusiasmo, sia chiaro) il lodo Conte. E una volta preso atto del “no” di Renzi, hanno scelto da che parte stare: con l’avvocato, contro Italia Viva. In fondo, l’unico vero sponsor del premier ha sede proprio al Nazareno. Da un paio di mesi, Zingaretti sente di continuo il capo dell’esecutivo. Per il segretario dem non esiste un “problema Conte”, anzi. Per questo, il governo «va avanti», e nel frattempo «il Pd si consolida », recuperando voti dal M5S e schiacciando Renzi verso destra.
Certo, i dem non sono disposti a passare per quelli che pensano solo a tenere in piedi la legislatura, soprattutto dopo la vittoria in Emilia Romagna. Ma la verità è che sui temi Conte e il Pd viaggiano a braccetto. Sulla prescrizione, strappando a Bonafede una retromarcia che quasi annulla la riforma. E sui decreti sicurezza, su cui il leader chiede a Conte di «fare in fretta», ben sapendo che i testi per modificare le due leggi targate Salvini sono già pronti e ricalcano le osservazioni mosse dal Quirinale.
Unire i puntini, insomma, sperando di piegare Renzi, magari attingendo allo spauracchio dei nuovi “responsabili”. «Presidente, quello sulla prescrizione è l’ultimo vertice sul tema? », chiedono al premier prima della riunione, «E perché? Mica moriamo… », sorride agitando le corna. Serviranno molti altri vertici, in effetti, per tenere assieme la maggioranza.
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