Gran teatro Quirinale: il rito consultazioni tra intrighi e trappole.

Dalle astuzie di Pertini agli sgarbi di Cossiga. E ora si ricomincia: è il momento delle volpi
Consultazionissima 2018, la prima serie. Ma è già chiaro che ce ne sarà una seconda e magari un terzo giro, ormai prossimo al maggio radioso della Terza Repubblica.
Consumatosi nella disfatta e nella vergogna il tempo rapido, chiassoso e maggioritario dei leoni, ecco che si apre quello delle volpi, che se lo prendono con calma e al riparo dagli sguardi; e tra un incontro e l’altro, un occhio al calendario e un altro ai propri interessi, riscoprono le virtù e le trappole del negoziato, della sfumatura, della maieutica e della decantazione di giorni non sempre, anzi quasi mai decisivi.

Se c’è in effetti una qualche minima speranza di trovare un punto di equilibrio per dare vita a una parvenza di maggioranza e poi, possibilmente, a uno straccio di governo, beh, si comincerà a capire in quell’area sacra, situata ai piani alti del palazzo del Quirinale, cui si accede attraverso il fantastico scalone elicoidale del Mascarino. Qui, presso lo studio presidenziale detto “alla Vetrata”, fra colonne di basalto nero e arazzi con putti che si baciano, i giornalisti si raccolgono in uno spazio profano che si estende da una tribunetta ricoperta con un drappo grigio o rosso a un altro salone in accennata penombra, ingombro di preziosi mobili cinesi e dedicato al buffet (di solito caffè, mini bignè, spremuta d’arancia e piccoli tramezzini al tonno), a parte un paio di finestre con vedute di Roma che riscattano qualsiasi prolungata attesa e inopportuno ritardo. All’arrivo delle autorità istituzionali dallo splendido cortile si odono squilli di tromba e sbattito di tacchi; mentre nel caso delle delegazioni dei partiti sale un rumore di portiere blindate e composta, ma pur sempre cerimoniosa accoglienza.

Dopo l’udienza con il Capo dello Stato, i politici fanno una specie di passerella, ma capita anche che scelgano di non rispondere alle domande limitandosi a salutare gli operatori dei media mentre, abbagliati senza pietà dalle loro luminarie, guadagnano sbrigativamente l’uscita. Quando invece parlano, stanno sempre bene attenti a non raccontare il contenuto del colloquio con il presidente, che resta protagonista invisibile, spesso senza rendersi conto che proprio dalla torsione fra ciò che è accaduto dentro e il modo nel quale sono costretti a riferirlo all’esterno nasce lo spettacolo, sia pure sottile e di secondo grado, dei “ludi consultacei”, come vennero definiti nella Seconda Repubblica maggioritaria per sottolinearne la sostanziale inutilità.

E tuttavia anche allora la vera partita si svolgeva al di là della porta di noce governata da commessi con cravattino bianco e marsina celeste, quanto di più simile a un ligneo sipario sul sancta sanctorum del Colle e per giunta presidiato da due corazzieri in alta uniforme (una volta, d’estate, uno di loro svenne e per un attimo il circo mediatico si ritrovò coinvolto ina scena da Iliade).
Inaugurate da Einaudi, le consultazioni non sono tanto un obbligo, quanto una consuetudine o se si preferisce una prassi. In ogni caso il presidente della Repubblica se le organizza come meglio crede.
Abbastanza nutrita è ovviamente l’aneddotica, che in estrema sintesi nel 1979 vide Pertini convocare a distanza di un quarto d’ora l’uno dall’altro Andreotti, Saragat e Ugo La Malfa, a tutti e tre lasciando credere di voler affidare l’incarico, ma facendo in modo che non s’incontrassero, quindi sistemandoli in tre stanze diverse e lontane.

Si può proseguire con Cossiga che apriva cortesemente i colloqui offrendo cioccolatini. Ma una volta Marco Pannella, particolarmente polemico e irrequieto, fu fatto accompagnare alla porta; mentre al contrario Achille Occhetto, da Cossiga impropriamente definito “zombie coi baffi” rifiutò strenuamente di farsi consultare. Scelta che del resto, divenuto emerito, anche Cossiga applicò a se stesso in polemica con il suo successore Oscar Luigi Scalfaro.

Di quest’ultimo, che Sgarbi descrisse attorcigliato sulla sedia “come un ramarro”, si è scritto che a scanso di equivoci registrava gli incontri con un vecchio magnetofono a vista e che si guardava le successive dichiarazioni in bassa frequenza. Fu durante il suo settennato che il rituale tran tran alla Vetrata conobbe il punto più basso, durante la crisi del primo governo Amato (1993), allorché fu deciso di espungere dal calendario tutti i numerosi segretari e capigruppo inquisiti e ancora a pochi ore dall’inizio non si sapeva bene con chi il presidente della Repubblica si sarebbe potuto confrontare.

Al tempo di Ciampi e poi di Napolitano, d’altra parte, l’accentuata frammentazione della Seconda Repubblica generò consultazioni monstre cui parteciparono fino a 29 diverse delegazioni. Pure in questo caso, al netto del sintomo desolante, lo show detto del “minestrone”, dello “spezzatino”, del “fritto misto” e della “macedonia” era assicurato anche dalla grottesca casualità delle denominazioni che assumevano i convenuti. Quanto più irrilevanti, tanto più questi ultimi si sforzavano di rivendicare e mettere in atto la profezia di Andy Warhol secondo il quale a ciascuno sarebbe spettato il benefico quarto d’ora di celebrità; per cui o si atteggiavano a statisti o ci davano sotto con micro-problemi.

E con tale viatico si arriva alle lunghe e riservate consultazionissime dell’oggi. Se è vero che ogni ciclo storico assomiglia non al precedente, ma a quello ancora prima, la Terza, forse, Repubblica almeno un po’ rischia di riattivare forme, sequenze e modalità di un passato in cui il gioco del potere non era tanto in mano a condottieri, seduttori e domatori quanto a intermediari, sensali, pacificatori, al limite alchimisti. In tale contesto – e si perdoni la povera suggestione – lo studio presidenziale alla Vetrata non può consentirsi di lusso di farsi vetrina per nessuno.
Semmai si tratta proprio di anestetizzare la pressione degli spettacoli e al dunque dei media. Più lontano dalle luci ci si guarda in faccia, e meglio si tratta. All’orizzonte, almeno per ora, la crisi del talk, del crash, del reality e dello streaming.

Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/