Perché l’ex premier non può permettersi l’immobilismo sulla legge elettorale.

 

L’intervento di Renzi in Sicilia rappresenta l’avvio di una lunga, certo troppo lunga campagna elettorale che attraverserà l’isola fino al voto di novembre e poi proseguirà su scala nazionale in vista delle elezioni legislative di primavera. «All’inizio della primavera», come ha precisato tempo fa il capo dello Stato: ossia alla scadenza naturale del Parlamento. Nei fatti si sta dipanando un unico filo, il quale ci ricorda che anche l’anno scorso la campagna per il referendum costituzionale durò oltre sei mesi: una nevrosi che contribuì non poco a stancare l’opinione pubblica.
Ora il segretario del Pd si preoccupa che la scadenza siciliana sia giudicata alla stregua di uno “stress test” o di un mero “sondaggio” in vista delle elezioni generali. C’è del vero in questa osservazione e nessuno può sottovalutare la rilevanza di quello che accade a Palermo. Ma ovviamente Renzi pensa ai rischi immediati: ai contraccolpi romani di un’eventuale sconfitta siciliana, data per molto probabile da tutti i sondaggi. E la sua mente corre a chi gli scissionisti dei Mdp – si è dato esattamente questo obiettivo, cercando l’occasione d’oro per indebolire il segretario e poi condizionarlo.
Per la verità, c’è poco da stupirsi. Il “fronte del no” è figlio della recente scissione e la sua priorità consiste proprio nel vendicarsi del gruppo dirigente del Pd. Sarebbe strano il contrario. Che poi i nemici della segreteria abbiano governato fino qui la regione insieme al partito renziano nella maggioranza pro-Crocetta, è un dato di fatto, ma le contraddizioni in politica sono la norma. Semmai Renzi non dovrebbe insistere troppo circa la neutralità del risultato siciliano rispetto alle vicende romane.
Tutto si tiene, al di là dei meriti e dei torti del segretario.
La Sicilia sarà parte di un giudizio complessivo sugli anni del “renzismo”, alla pari degli esiti delle altre elezioni regionali e amministrative.
Non si tratta di sperare che la Sicilia sia messa tra parentesi, bensì di attrezzarsi con idee innovative per un’unica campagna elettorale: oggi a Palermo, domani a Roma e nel resto d’Italia.
In fondo, è quello che sulla carta l’ex premier sa fare meglio: andare in giro a raccogliere il consenso. Almeno una volta era così, prima del referendum che ha costituito una discriminante decisiva.
Colpisce che la campagna 2017 per adesso assomigli a una riproposizione di vecchi temi e di slogan già sentiti, a cominciare da quelli minacciosi verso l’Unione che non distribuisce i migranti. Difficile pensare che il leader voglia limitarsi a questo nei prossimi sei mesi, fra una presentazione e l’altra del suo libro. Anche perché si dovrà pur fare una riflessione sulle incognite dell’alleanza con Alfano e sul perché il rapporto con Pisapia finora è rimasto al palo.
Non essendo più una giovane promessa, Renzi non può permettersi l’immobilismo che è l’altra faccia della scarsità di idee. Forse è un’impressione sbagliata, ma il “rottamatore” sembra quasi rassegnato a sfruttare le ingessature del sistema, anziché provare di nuovo a cambiarlo.
La storia della legge elettorale è emblematica al riguardo. Con l’attuale sistema ritagliato dalla Corte Costituzionale, è quasi certa l’ingovernabilità del Parlamento. Il che significa la condanna a esecutivi tecnici o “del presidente” in una condizione di grave debolezza. Forse varrebbe la pena tentare ancora l’approvazione di un modello elettorale più adeguato, magari il cosiddetto “Mattarellum” aggiornato su cui potrebbe accendersi l’interesse di Forza Italia e della Lega.
Viceversa, il vertice renziano sembra agnostico su questo punto. Come se il segretario fosse appagato dalla prospettiva di controllare un cospicuo numero di parlamentari grazie alle liste bloccate. Il che gli permetterebbe comunque di esercitare il potere all’interno di un Parlamento “impiccato”, come dicono gli inglesi. Sarebbe al centro della scena, certo, e magari Berlusconi con il suo gruppo lo cercherebbe. Ma per un bizzarro scherzo del destino, questo Renzi sarebbe solo un lontano parente di quello che vinse le europee nel ’14 con irruente dinamismo.
La Repubblica
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