“Ratzinger e Bergoglio sono accomunati nella visione del mondo più di quanto noi possiamo immaginare”. Parla il prof. Schiavazzi

Abbiamo intervistato Piero Schiavazzi, giornalista, docente universitario di Geopolitica Vaticana (primo insegnamento in Italia con tale denominazione) della Link Campus University.

Nel 2013 sale al soglio di Pietro il Cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio. L’elezione del Pontefice giunto dalla “fine del mondo” coincide con una delicatissima fase storica della Chiesa che già da tempo si trova a fronteggiare numerose problematiche interne e importanti sfide. Su tutte, quella della scristianizzazione e dello stravolgimento geopolitico in atto. Per meglio comprendere la proiezione geopolitica di Francesco, alla luce dei nuovi cambiamenti e accelerazioni prodotte dal Covid abbiamo chiesto l’autorevole parere del Professor Piero Schiavazzi, vaticanista di Limes e Huffington post, le cui analisi, impreziosite da suggestive metafore, si contraddistinguono per profondità, lucidità e lungimiranza.

Professore, come colloca Papa Bergoglio la sua Chiesa all’interno del nuovo scenario geopolitico post covid?

Agli occhi di Bergoglio il secolo XXI, ed in particolare l’anno 21° del XXI sec., sono come il Cristo in via crucis: sono caduti già tre volte sotto la croce. La prima caduta metaforica risale al 2001 con la caduta delle torri gemelle; la seconda al 2008 con Lehman Brothers e la crisi economica dei subprimes; la terza al 2019 con il Covid protratta fino ad oggi. Vi è, dunque, un contesto strutturale all’interno del quale vi è un “secolo” che “è caduto già tre volte”. All’interno di questo scenario, la congiuntura Covid rappresenta la minaccia peggiore insorta sul cammino del Papa, maggiore del fondamentalismo terrorista e della crisi economica. La pandemia, infatti, agendo nell’immaginario collettivo, mette in discussione la centralità stessa del cristianesimo nella storia dell’umanità. Ciò ha un forte impatto sull’immaginario della gente comune, dell’ “uomo della strada”, colui a cui Bergoglio, papa del Popolo, tiene di più. Bergoglio è un Papa meno attento alle élite e molto attento al popolo. La storia agli occhi di Bergoglio nasce e cresce dal basso ed in questo caso, con l’avvento del Covid, nasce e cresce dal basso la percezione che il Cristo non sia più centrale ed evento spartiacque con la sua nascita e con il suo avvento nella storia dell’umanità. Il nuovo scenario mette, dunque, in crisi  il core business della Chiesa e del cristianesimo, segnando una cesura dentro ognuno di noi tra prima e dopo il Covid. B.C. oggi vuol dire Before Covid essendo così portati a considerare la storia dell’umanità prima e dopo il Covid. E nella storia non era mai successo un evento simile. A Cuba Fidel Castro – che ho conosciuto – dopo aver vinto la Rivoluzione dei Barbudos ha abolito dal calendario il Natale, ma non ha chiuso la nunziatura. Sostanzialmente ha eliminato Cristo dal Calendario ma ha lasciato un posto nello stradario dell’Avana al suo vicario. Non è riuscito a eliminare il Natale dalla coscienza del popolo, a differenza di quanto sta facendo il Covid. Ciò accade a livello di opinione pubblica di massa, a livello di popolo. Si tratta di una percezione orizzontale che, per la prima volta nella storia, mette in discussione il Natale a 360°. Vi è un altro pericolo che la Chiesa avverte, ovvero che il mondo dopo il Covid non tornerà come prima.

Nel contesto che Lei descrive viene pubblicata Fratelli Tutti. È un’enciclica che  porteremmo definire anti sistema?

Fratelli Tutti comincia proprio con la constatazione che il mondo dopo il covid non tornerà come prima. Dall’introduzione dell’enciclica, infatti, emerge quanto segue:

“Se qualcuno pensa che all’indomani del Covid si tratti solo di far funzionare meglio quanto stavamo facendo, che l’unico messaggio sia migliorare i sistemi e le regole che già esistono, sta negando la realtà”.

A ben vedere, si tratta di una vero e proprio manifesto rivoluzionario, una dichiarazione rivoluzionaria, certamente anti sistema, e non di un’enciclica riformatrice. Il covid, infatti, induce ad alzare il livello della sfida perché – come dicevo in precedenza- agendo come evento spartiacque, colpisce la Chiesa nel suo core business. Poi, volendo utilizzare una metafora fisiopatologica, accanto al cuore ci sono i due polmoni, uno ad intra e l’altro ad extra. L’uno si cura della respirazione intra ecclesiale, mentre l’altro è quello geopolitico e si occupa di cosa il Vaticano pensa del mondo e cosa vuol fare per il mondo.

Il polmone ad intra si adopera per una Chiesa che esca da se stessa e che si rechi nelle città dove dal 2014 ormai risiedono la maggior parte degli abitanti del pianeta, ed in particolare nelle loro periferie. Tale polmone però è in affanno dal momento che Bergoglio, ammesso che riesca a convincere i suoi quadri ad uscire, una volta fuori si imbatte con il paradosso del covid che ha svuotato le città. Da questo punto di vista risulta emblematica l’immagine del 27 marzo con Lui che parla all’orbesenza l’urbe, ma anche quella di quindici giorni prima quando, recandoci a piedi alla Chiesa di S. Marcello al Corso, entra in questa via stretta e lunga, come nel tubo di una risonanza magnetica da cui poter “auscultare” il rimbombo del rumore del mondo. Due immagini che la dicono lunga sulla strategia pastorale. Il Papa che esce nelle città e le trova vuote.

Circa il secondo polmone, che è quello geopolitico, Bergoglio ha riposizionato la direttrice della Chiesa sull’asse sud-est: Africa e Asia. Il futuro del mondo non si iscrive nel passaggio a nord ovest. La Chiesa che nasce a nord ovest – a Gerusalemme per poi spostarsi ad Atene e a Roma, che rappresentano il nord ovest del Mediterraneo rispetto a Gerusalemme – oggi rompe gli ormeggi con l’aggancio ad occidente perché ritiene fortemente nocivo e inibente, per le grandi civiltà dell’oriente, che la Chiesa venga percepita come una costola dell’occidente.

Fratelli Tutti, infatti, guarda ad oriente…Possiamo sostenere che pone la Chiesa in un’altra dimensione offrendole una differente postura? 

Fratelli Tutti può essere percepita come una weird car, ovvero una macchina con cui è possibile viaggiare sia sulle strade asfaltate “occidentali” che su quelle sterrate “orientali”. Le strade sterrate, in questo caso, rappresentano i Paesi che non hanno lo stato di diritto e dove manca la democrazia. Questa è un’enciclica a bassa intensità democratica, che parla poco di democrazia e tantissimo di diritti umani,che rappresentano il comune. È un’enciclica che parte francescana e finisce gesuita. Geograficamente parte per il Medio Oriente – come Francesco che partì per andare incontro al Sultano – e poi prende la via della seta.

Francesco, in Fratelli Tutti, si occupa di diritti umani a cominciare dalla libertà religiosa. Per affermare tale concetto riprende, nell’ottavo capitolo, la dichiarazione di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019, sottoscritta con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Fratelli Tutti è un’espansione di quella dichiarazione, ed è centrata sul principio creaturale: se siamo figli dello stesso Dio siamo portatori degli stessi diritti. Siamo tutti uguali e quindi fratelli; la fratellanza ancorata alla figliolanza divina dell’unico creatore. Se siamo figli dell’unico creatore per principio creaturale, ne discende l’uguaglianza dei diritti perché siamo fratelli e, se siamo fratelli, non è possibile che una minoranza venga tollerata e considerata con una cittadinanza di serie B, ovvero portatrice di diritti dimezzati. In questi Stati, della pienezza della dimensione dei diritti ne beneficia solo chi è di religione islamica perché una componente più o meno ampia della legislazione afferisce alla sharia e, indubbiamente, dove vi è una parte della legislazione che coincide con quella religiosa è beneficiato chi appartiene a quella religione. Bergoglio punta, dunque, all’uguaglianza dei diritti umani fondamentali. Per comprendere a fondo il significato della dichiarazione di Abu Dhabi, la sua importanza e proiezione, bisogna tornare indietro al Cardinale Casaroli, famoso ministro degli esteri di Paolo VI e poi Segretario di Stato di Wojtyla fino al 1990. A Casaroli venne allora contestata la partecipazione vaticana alla famosa dichiarazione di Helsinki del 1975 sulla sicurezza e la pace in Europa che sottoscrisse con le Repubbliche popolari. Ad occidente venne percepita come una presa in giro, in particolare da parte dei rappresentanti delle chiese del silenzio, delle chiese martiri che stavano aldilà del muro. Io nel corso di un’intervista posi questo quesito a Casaroli il quale rispose di non scherzare con le parole perché la storia e i trattati non sono meri pezzi di carta e, una volta messi nero su bianco, scavano nella coscienza dei popoli o, quantomeno, forniscono loro uno strumento di mediazione nell’era mediatica. Le parole lavorano nell’immaginario collettivo, ma naturalmente richiedono del tempo, si stratificano, sono “pomate a penetrazione lenta” che vengono applicate sulla punta della storia. I fatti gli diedero ragione: quella strategia di preparazione, seppur fortemente contrastata dai cardinali polacchi che si sentivano svenduti dal pragmatismo della ostpolitik della diplomazia vaticana, produsse l’elezione di Wojtyla e ha creato delle crepe nel muro di Berlino.

Bergoglio sta mettendo in atto la medesima strategia. Il fatto che la massima autorità del mondo islamico abbia sottoscritto il principio secondo cui  “siamo tutti uguali, la tolleranza deve essere superata” , in uno dei Paesi dove c’è solo tolleranza per i cristiani costretti all’esodo, ripete in parallelo l’operato fatto ad Helsinki nel 1975.  La weird car di Fratelli Tutti, una volta compiuto il suo dovere in medio oriente, giunta alle propaggini estreme del mondo islamico, depone il saio del dialogo con l’Islam e indossa quello gesuita di Francesco Saverio e Matteo Ricci, ponendo l’accento sull’amicizia sociale, su una visione della società armonica, della condivisione tra le sue componenti, che altro non è che l’ideale cinese dell’armonia che si pone all’opposto del nostro ideale di democrazia dialettica competitiva. Tale elemento viene colto da Bergoglio come minimo comune denominatore, per passare attraverso le fessure della cortina di bambù e per approdare in Cina. Qui bisogna precisare che se la Chiesa rimane fuori dal far east rimane fuori dal XXI secolo; se sei fuori da quell’area, sei periferico dal momento che il futuro del mondo verrà scritto proprio in quella determinata area.

Possiamo parlare anche di un “pivot to Asia” di Bergoglio?

A ben vedere, dalle nomine cardinalizie fatte da Bergoglio nei sette concistori è possibile cogliere il suo “pivot to Asia” che, a differenza di quello statunitense – che mira al contenimento basato sulle alleanze per circondare la Cina – si adopera al corteggiamento della Cina. Dai sette concistori di questi otto anni di pontificato emerge, infatti, una pigmentazione purpurea del pianeta che cambia rispetto a quella dei predecessori, con la Cina circondata da banchi cardinalizi. Sostanzialmente, la Chiesa si sta riposizionando intorno alla Cina, corteggiandola. C’è un cardinale in Birmania, uno in Laos, uno in Indocina, uno in Papua Nuova Guinea, uno a Tonga, uno in Bangladesh, uno in Malesia, uno nel piccolissimo Brunei e uno nelle Visayas. La questione che ad oggi si pone è se questo capolavoro diplomatico finirà in maniera pucciniana … “il nome mio nessun saprà”. Ovvero: la strategia di arrivare a Pechino rimarrà incompleta per colpa del covid? Perché non vi è dubbio che la pandemia abbia ritardato per motivi politici e sanitari il viaggio del Papa a Pechino che, qualora dovesse concretizzarsi, sancirebbe uno strappo e un cambio di alleanze, e non soltanto un riposizionamento paritario tra Pechino e Washington.

Vi è un altro elemento in Fratelli Tutti da tenere in considerazione: l’attacco agli Stati Uniti. L’attacco agli Stati Uniti rappresenta un passaggio chiave del metaforico viaggio della weird car che spesso viene disatteso. Un attacco che è simile a quello di Pearl Harbor. Un attacco sul principio fondante, su quella che metaforicamente potrebbe essere definita la flotta del Pacifico, sul volano del soft power USA, ovvero il principio del “tutti pari allo start”, l’uguaglianza del mito americano, dei pionieri e delle carovane che si lanciano alla corsa all’oro.

Bergoglio su questo tuona e dice di fare attenzione a quei Paesi che hanno una concezione riduttiva dell’uguaglianza, del “tutti uguali allo start” e poi … che vinca il migliore. La fratellanza è un’altra cosa: è fermarsi e recuperare quello che è rimasto indietro. Recuperarlo sia se è rimasto indietro per colpa sua che perchè privo di mezzi e di capacità. Ciò deve avvenire, scrive Bergoglio, anche se produce delle inefficienze e dei costi sociali poiché la fratellanza, in radice, disinnesca i conflitti. Bergoglio, essendo il primo Papa egheliano della storia della Chiesa, ha una visione profondamente conflittuale della storia della Chiesa. Ci hanno educato a pensare che la filosofia egheliana è contrapposta al cristianesimo, che è aristotelico, attraverso la mediazione di S. Tommaso, o Agostino. Per Bergoglio, l’unità è superiore al conflitto perché nel profondo della storia vi è l’aspirazione all’unità e in superficie vi sono i conflitti che non vanno negati, ma assunti, fatti propri, sublimati, sintetizzati: tesi, antitesi, sintesi. Diversamente si manifestano in altro modo. Anche per questo Bergoglio sta introducendo in Vaticano la separazione dei poteri, perché crede che la corruzione del potere umano non sia una devianza patologica del potere, bensì una tendenza naturale. Il potere tende alla prevaricazione e alla corruzione e, pertanto, va stoppato con i dovuti bilanciamenti. Questa è la visione bergogliana della storia. Il conflitto va portato alla luce, poi nel profondo vi è l’unità. Quest’aspirazione all’unità è il tratto comune tra Ratzinger e Bergoglio che non viene mai esplorato a sufficienza.

Ci spieghi meglio … 

Tra i due vi è molta più continuità di quanta immaginiamo e molta più discontinuità e distanza di quanto percepiamo. La divaricazione, sostanzialmente, è nella visione di Chiesa. Ratzinger non ha fatto il Papa per il presente, bensì per il futuro. Basti considerare che la metà del suo pontificato l’ha trascorsa a scrivere libri. Per utilizzare una metafora calcistica possiamo paragonare Ratzinger al Beckenbauer della Chiesa. Il suo è un pontificato giocato in mediana e di grande classe, un pontificato in lancio lungo. Lui dà per scontato che il XXI secolo è perso per la Chiesa per via della secolarizzazione e della scristianizzazione. Il senso del nome Benedetto indica, appunto, la salvaguardia della purezza in oasi ristrette. I monasteri all’indomani delle invasioni barbariche. Dunque, il messaggio di Ratzinger è quello di conservare la purezza del messaggio per le generazioni che verranno. Lui ha fatto il Papa per le generazioni che verranno. Un pontificato di proiezione giocato con un lancio lungo dalla difensiva.

Bergoglio, di contro, è un fantasista, paragonabile a Messi oppure a Maradona, che con fantasia creativa le inventa tutte pur di andare all’offensiva per recuperare il terreno perduto. Inventandosi così anche un pontificato omeopatico che assume piccole dosi di relativismo per immunizzarsi, per vaccinarsi. Mentre il pontificato di Ratzinger ha agito da antibiotico aggredendo il relativismo.  Come già detto… una visione di Chiesa divaricata benedettina e francescana. Da un lato San Francesco che parte e va dal Sultano, i gesuiti che vogliono andare in Giappone e in Cina; dall’altro S. Agostino di fronte ad un mondo che crollava, le invasioni barbariche, mentre lui vedeva il futuro di rinascita del cristianesimo che difatti è nata nel medioevo forgiando l’Europa.

Ratzinger e Bergoglio sono, però, accomunati nella visione del mondo più di quanto noi possiamo immaginare. Il loro è un grido quasi crociato (ma non di battaglia): “Dio lo vuole”. La grande partita in questo momento è quella della Chiesa che si schiera in difesa della globalizzazione nel momento in cui il covid ne esaspera le polarità, non solo tra ricchi e poveri, ma anche sotto il profilo geopolitico tra Stati Uniti e Cina; Cina e India con quest’ultima colpita al cuore. Bergoglio vede che le polarità aumentano e, al pari di Ratzinger, si schiera in difesa della globalizzazione.

Quindi, sotto il profilo geopolitico vi è continuità tra i due Papi? 

Volendo fare una battuta possiamo dire che li distanzia la visione della Chiesa, mentre li accomuna la visione del mondo. Bergoglio è il Papa della globalizzazione, la Chiesa è da sempre universale, è nel suo dna, “andate in tutto il mondo” una sorta di globalizzazione ante litteram, ma è la prima volta che è veramente globalizzata. Se per universale si intende andare in tutto il mondo e avere una vocazione e un dna imperiale che viene declinata da Roma accentrando il centro del potere e del pensiero. Un centro di pensiero dove elabora le strategie e le gestisce.

La globalizzazione, di contro, è la deconcentrazione dei centri di produzione e di pensiero. Ciò significa che il futuro della Chiesa verrà concepito altrove, nelle sedi dove vengono creati questi cardinali con altre mentalità. Questa è la Chiesa globalizzata.  Ratzinger nel 2012 dice a Ratisbona “non c’è Europa senza cristianesimo”, ma aggiunge un’altra cosa importante che viene disattesa, ovvero, “non c’è cristianesimo senza Europa”. Ovvero per Ratzinger, il logos, Atene e Roma hanno dato una forma di pensiero al cristianesimo che vale per sempre in tutti i continenti. Bergoglio pensa, all’opposto, che fino quando il cristianesimo sarà concettualmente strutturato secondo categorie occidentali non attecchirà lì dove ci sono altre civiltà, pertanto deve sciogliersi come un lievito, liberarsi e tornare all’essenzialità evangelica.

Secondo Ratzinger la forma mentis dell’Occidente è l’idea di un Dio costituzionale che pone un limite a se stesso e questo rappresenterebbe un matrimonio indissolubile tra occidente e cristianesimo. Nel momento in cui il cristianesimo conosce e riconosce se stesso come il Dio dei cristiani, il Dio che è ragione e logos, è un Dio che pone un limite a se stesso dice Ratzinger. Se Dio riconosce la Sua essenza come ragione, non può fare cose irrazionali. Ovviamente, tale discorso non potrà mai essere accettato da un islamico perché per egli Dio non può avere limiti, neanche quelli che si pone da solo.

Portando questo ragionamento sul piano politico cosa viene fuori?

Sul piano politico, se Dio che rappresenta il potere assoluto si impedisce di essere irrazionale noi introduciamo nella testa degli uomini l’idea che anche il massimo dei poteri, ovvero quello di Dio si pone un limite, quale appunto quello della razionalità. Qui nasce l’illuminismo, l’occidente, la divisione dei poteri, anche se la Chiesa impiega circa 1.700 anni ad accorgersene, e se ne accorgerà per contrasto quando glielo ricorderanno gli illuministi; ma, in nuce, nel cristianesimo c’è un Dio che pone un limite a se stesso. Questo è il costituzionalismo dell’occidente. L’idea che il potere possa limitarsi e non possa essere assoluto nasce lì.

Alla luce di ciò, si è portati a non immaginare Ratzinger come il Papa della globalizzazione, ma come un Papa eurocentrico. Tuttavia, se prendiamo Caritas in Veritate notiamo che è lui il primo ad introdurre la parola globalizzazione nel magistero definendola come “disegno divino ad unificare la famiglia umana” che, a suo giudizio, rappresenta la grande svolta del millennio. Una propensione e propulsione ad unificare la famiglia umana ad un’anima. La Chiesa deve interpretare ed assecondare questo trend epocale che realizza un disegno della provvidenza.

Bergoglio a quest’anima etica aggiunge una dimensione etnica. Per lui la globalizzazione ha anche un volto meticcio dal momento che le razze non hanno futuro, per come ha affermato, a Bari il 23 febbraio 2020 in occasione dell’incontro con i Vescovi del Mediterraneo. Non un’umanità senza culture, per Bergoglio, che è il Papa del poliedro, ogni continente deve mantenere la sua peculiarità culturale, ma somaticamente un’umanità meticcia sarà un’umanità più pacifica e con meno tensioni.  Dunque, essendo entrambi accomunati dall’idea della globalizzazione, entrambi vedono nel virus il grande nemico che ostacola questo trend.

Fratelli Tutti è anche un’enciclica post moderna? 

Fratelli tutti, oltre ad essere post occidentale e post democratica, è anche post moderna. La modernità è fondata su due concetti. Abbiamo la modernità laica di Locke e dei grandi pensatori, fondata sulla proprietà privata che segna la fine dello sfruttamento dei beni comuni, con le recinzioni. Prima, nella proprietà privata dei grandi signori terrieri tutti potevano andarci a coltivare oppure a pascolare. Questo periodo segna il decollo della produzione industriale, dell’accumulo di capitale e del primato della proprietà privata. Bergoglio è molto sensibile a questo e alle nuove recinzioni di carattere globale che oggi si sono generate. Egli nel terzo capitolo di Fratelli Tutti afferma:

“Il diritto di proprietà si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica”.

Oltre a questo, vi è l’altro cardine della modernità che è il concetto di sovranità. Lo stato laico, post rinascimentale, sia nella variante lockiana che in quella illuminista, è uno stato che è sovrano sul suo territorio. Mentre per Bergoglio ogni Paese è anche dello straniero dal momento che i beni di un Paese non si possono negare a quelli del popolo affianco che ha fame perché i beni del suo terreno sono negati dalla siccità. Sostanzialmente è un vulnus al limes su cui si costruisce la modernità. Bergoglio entra in una nuova fase mettendo così in discussione i due cardini dello stato moderno e contemporaneo.

 

 

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