Quirinale, il paradosso che rende qualunque alternativa a Draghi solo il “meno peggio”

  • Questa elezione presidenziale sarà ricordata per i paradossi che l’hanno segnata e che girano, tutti, intorno al nome di Mario Draghi.
  • L’ipotetico candidato Draghi diventa divisivo e destabilizzante, lui che era stato chiamato al governo per unire e stabilizzare. Infatti, se la coalizione di governo dovesse decidere di non portarlo al Colle, il suo ruolo ne uscirebbe scalfito come presidente del consiglio.
  • Se venisse portato al Quirinale, sarebbe il suo governo a subire instabilità. Questo paradosso lo hanno creato i politici, insistendo sull’”unico” candidato. Nella politica democratica, la logica della necessità è foriera di instabilità.

Questa elezione presidenziale sarà ricordata per i paradossi che l’hanno segnata e che girano, tutti, intorno al nome di Mario Draghi. Il primo e più intrigante è il paradosso della paralisi, che richiede un’introduzione. Draghi mette il sistema politico davanti a questo dilemma: se mantenere il più celebre tecnocrate che abbiamo come presidentre del Consiglio oppure elevarlo a capo dello stato, in entrambi i casi innescando una situazione potenzialmente paralizzante e certamente insoddisfacente.
Comprendiamo così il senso del primo paradosso: l’ipotetico candidato Draghi diventa divisivo e destabilizzante, lui che era stato chiamato al governo per unire e stabilizzare.

Infatti, se la coalizione di governo dovesse decidere di non portarlo al Colle, il suo ruolo ne uscirebbe scalfito come premier. Se venisse portato al Quirinale, sarebbe il suo governo a subire instabilità. Questo paradosso lo hanno creato i politici, insistendo sull’”unico” candidato. Nella politica democratica, la logica della necessità è foriera di instabilità.
Questa griglia interpretativa esalta un secondo paradosso: l’impasse nel centrosinistra sul nome del candidato – un’impasse che è voluta e serve a tenere aperta la possibilità che il nome di Draghi si imponga come necessario.  La possibilità è realistica se si considera che i candidati del centrodestra sono stati un flop, perché nessuno di loro rientra nel profilo creato per eleggere questo presidente.   E veniamo così al terzo paradosso.

Sappiamo che il presidente del Consiglio è intervenuto nelle discussioni con i leader dei partiti per capire quanto il governo di unità di scopo soffrirà nel caso in cui egli venisse eletto senza i voti di tutti. Lo stesso Draghi aveva detto in una conferenza stampa che una rottura dell’allenza nell’elezione del presidente avrebbe avuto un impatto destabilizzante sul governo.
Come ci si è immessi in questo cul-de-sac?  Forse proprio con l’ostinarsi a preparare il terreno all’unico candidato possibile. Infatti, il profilo predisposto dal Pd e condiviso da tutti – l’essere super partes e non divisivo – non si adatta alle candidature politiche. A nessuna.

Difficile trovare un tale candidato tra chi ruota intorno al parlamento (a qualunque parlamento). E infatti, perfino il centrodestra è caduto nella trappola, andando a cercare candidati dell’impossibile – va da sé che se sono candidati della destra non sono né super partes né non divisivi. Non resta dunque che Draghi.

Se sarà qualcun altro, sarà comunque percepito come non soddisfacente perché politico. Anche l’eclettico Pier Ferdinando Casini, che ha stazionato in tutti i partiti. Anzi, se la sua candidatura dovesse velocizzarsi sarebbe avvertita come un prodotto del politichese spinto.

Insomma, la non elezione dell’unico (Draghi) renderà il nuovo presidente un meno peggio. Una soluzione che non fa un buon servizio al tenore della presidenza.

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