QUEL GRAN BANCHIERE SENZA L’ONORE DELLE ARMI.

 

Commento
Ma chi glielo ha fatto fare ad Alessandro Profumo? Dieci anni fa era tra i dirigenti più acclamati in Europa, unico banchiere capace di incarnare pensiero e azione in un polo paneuropeo. Tempi remoti: un passo dopo l’altro il manager pare aver dissipato l’ingente autorevolezza che lo precedeva nel mondo. Quando in marzo 2017 fu indicato dal governo Gentiloni, l’azione Leonardo in Borsa stornò.
Forse perché nell’ascesa bruciante da Mc Kinsey a megabanchiere non c’erano tracce di industria, né di armamenti. O forse perché Profumo aveva da un mese 60 anni, età a cui s’era impegnato dieci anni prima – al ritiro siglando un patto generazionale (anche con un giovane Matteo Renzi, ironia).
Quando, nel 2010, fu estromesso da Unicredit mentre cercava soci all’estero – ex post, fu antesignano anche lì – ebbe in dote 40 milioni.
Poteva far di tutto, da insegnare ai giovani le virtù manageriali a mettersi in politica, assecondando una passione civile (lato Pd) ormai rara tra i banchieri. Poteva farsi ambasciatore di una certa Italia.
Invece, come tanti alti dirigenti quando restano a piedi, Profumo sembra incapace di scendere dalla giostra del Potere, dove ruota la sola merce di cui non esiste inflazione. A rimetterlo in gioco, un giro di nomine politiche, dal cda Eni a presidente di Mps. A volte rinunciando ai compensi, mai alle grane, tali che due anni dopo la banca senese è stata nazionalizzata. Nel 2015 l’acquisto di Equita sim da imprenditore pareva (anche a lui) un canto del cigno ideale. Ma non è durato due anni, per rispondere all’ultima chiamata: alle armi. Contento lui, forse. Meno contenti gli investitori di Leonardo, che già a novembre lo avevano punito e ieri scettici hanno preso a vendere mentre l’ex banchiere parlava “da ingegnere”, elencando con sicumera le stime calanti di un piano di matrice più industriale che finanziaria. E molti tra loro hanno rimpianto l’ex ad Mauro Moretti, “il ferroviere”.
La Repubblica.
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