Pochi fondi e scarsa considerazione ma l’università italiana primeggia.

Il pregiudizio sugli atenei
L’Università italiana non gode di buona stampa. L’opinione pubblica non le è favorevole. Le élites politiche e culturali le sono spesso avverse. La legislazione in materia è solitamente punitiva nei suoi confronti. Il finanziamento pubblico scarso. Continua a pag. 25 segue dalla prima pagina La considerazione sociale in cui è tenuta dai più mediocre. I nostri giovani più brillanti non vedono l’ora di scappare all’estero (sempre più spesso cominciano addirittura dal liceo). Ora, tutto ciò può dipendere o dall’effettivo livello scadente dell’Università italiana oppure da una campagna sistematica di disinformazione nei suoi confronti. La mia impressione è che la seconda ipotesi sia la più verosimile. Questo non vuol dire – ovviamente, starei per aggiungere – che l’Università italiana sia immune da difetti. Ma solo che il discredito dovuto alla disinformazione copre di una densa coltre di nebbia la possibilità stessa di capire quali sono i punti forti e quali sono quelli deboli del sistema accademico nazionale. Con conseguenze spesso disastrose per i (talvolta) pur generosi tentativi di riforma del sistema stesso. Da che cosa dipende una tesi come questa? Come spesso capita, da un misto di esperienza personale, di statistiche e di visione teorica. L’esperienza personale dice che gli studenti italiani sono bravi. Avendo insegnato in diversi atenei italiani e stranieri posso dire che gli studenti italiani vanno bene a casa e primeggiano all’estero. Va aggiunto che tale sensazione è condivisa dalla maggior parte dei colleghi che hanno avuto simili esperienze. Bene, se l’esperienza non è un gran che di argomento, i dati dovrebbero fornire un’evidenza migliore a sostegno della propria tesi. Anche in questo caso ci vuole prudenza. I dati sono manipolabili, molto dipende da quali si citano e quali si omettono. Ciò concesso, alcune cose sembrano ragionevolmente sicure. Per cominciare, l’Italia è uno dei primi Paesi industrializzati del mondo e ha una spesa per l’Università da Paese in via di sviluppo (32ª su 37 Stati, dato Oecd 2012). I soldi, si dirà, non sono tutto. Vero. Ma guarda caso, gli atenei che primeggiano nelle classifiche mondiali godono di budget assai diversi. Harvard ha ben 42 miliardi di dollari in assets, e una spesa operativa annua di circa 4 miliardi di euro (2016) a fronte di un fondo di finanziamento ordinario per tutte le università italiane messe assieme che ammonta, nel 2017, a poco meno di 7 miliardi di euro. Inoltre, se guardiamo al numero di pubblicazioni per studioso siamo su uno standard del tutto rispettabile nel panorama internazionale, e se invece si guarda alle citazioni di questi lavori l’Italia risulta settima al mondo fra il 1996 e il 2011 (Scopus). Se infine compariamo la spesa pubblica per l’Università allo standard scientifico siamo un record di efficienza misurata in termini di risorse spese per articolo e per citazioni (Oecd 2010). L’Università italiana, a quel che pare, fa bene con poco. Quello che invece è certo è che i laureati in Italia sono pochi. E qui entra in campo anche un minimo di visione teorica. Perché sembra al colto e all’inclita che, per uscire dalla crisi che dura almeno dal 2008, il nostro Paese abbia bisogno più che mai di ricerca e di saperi specialistici. Più ricercatori in sostanza. E questo significa potenziare il sistema accademico nazionale. Dietro una riforma universitaria, c’è poi sempre un’idea di Paese. E se vogliamo un’Italia più ricca, colta e aperta al mondo ancora una volta dobbiamo avere più università. Tutto ciò non si può fare se non investendo. Come detto dall’inizio, non si vuole qui sostenere che l’Università italiana nel suo complesso funzioni alla perfezione. Tutt’altro. Ma il fango che le è gettato addosso da un stampa desiderosa di scandali e da lobby con interessi speciali non giova di certo alla causa. Come non giovano, le leggi punitive che costringono i giovani ricercatori a assurdi impegni amministrativi e a riempire tabelle di dati inutili. A costo di sembrare retorico, sono invece convinto che ci voglia maggiore consapevolezza del fatto che studio, cultura, scienza e ricerca sono sia beni intrinseci sia assetts fondamentali per un Paese come il nostro. Per cui, occorre anche avere rispetto per le istituzioni, come le Università, dove queste attività si praticano e con un certo profitto. Smettendola con lo sport nazionale che consiste nel boicottare masochisticamente tutto quel che accade nel nostro Paese.
Il Messaggero.