Intervista
Cohn-Bendit: ostaggi dei nazionalisti tirchi
PARIGI «È venuto il momento di dire all’Olanda e al “club dei frugali”, anzi i nazionalisti tirchi, come li chiamo io, che non possono avere la botte piena e la moglie ubriaca. Gli olandesi, gli austriaci, i danesi e gli svedesi non possono godere del mercato unico europeo e poi rifiutare la solidarietà in Europa in un momento come questo. Assistiamo allo scandalo dei Paesi Bassi, che predicano rigore ma offrono tutte le possibilità di ottimizzazione fiscale in Europa». Daniel Cohn-Bendit, 75 anni dei quali 20 trascorsi da eurodeputato verde, leader del 68 e consigliere ufficioso di Macron, cittadino francese e tedesco ma soprattutto europeo, sottolinea che «siamo a un bivio».
Pensa che si troverà un accordo sulla proposta della Commissione?
«Lo spero. Il bivio è questo: o ci evolviamo verso un’Europa più integrata e solidale, o verso un’altra Europa che si limita a coordinare gli egoismi nazionali».
Quest’ultima sembra essere la visione dei Paesi Bassi e degli altri «frugali».
«Con il paradosso che i loro governi in qualche caso sono socialdemocratici come in Danimarca, o con i verdi in coalizione come in Svezia, ma hanno posizioni nazionaliste, sovraniste. Sull’immigrazione la premier socialdemocratica danese Mette Frederiksen di fatto non è lontana da Matteo Salvin».
Nella questione del debito la cancelliera Merkel ha spostato il peso della Germania da punto di riferimento dei «frugali» del Nord a alleata di Francia, Italia e Spagna. È sorpreso da questo cambiamento?
«Non più di tanto, perché Angela Merkel funziona così, per folgorazioni improvvise. Ha sempre difeso il nucleare in Germania, salvo poi cambiare idea di colpo dopo Fukushima. Era rigida sull’immigrazione, poi si è detta che come prima cancelliera venuta dall’Est non poteva mettere il filo spinato, e ha aperto le frontiere. Adesso ha capito che la Germania non può restare in un angolo a guardare. E quindi ha accettato il principio, sempre rifiutato prima, di una messa in comune del debito».
La sentenza dei giudici costituzionali tedeschi ha agito come uno scossone?
«Direi che il loro attacco alla BCE è stato come un vaccino, la Germania si è mobilitata per lottare contro il virus della disintegrazione dell’UE. Ma adesso anche l’Italia e gli altri Paesi del Sud devono fare qualcosa. Mi permetto di offrire un consiglio».
Quale?
«Nella posizione dell’Olanda e degli altri c’è l’arroganza del Nord, ma il timore che gli aiuti vengano sprecati è anche legittimo, se consideriamo come sono stati usati i fondi europei in passato. L’Italia presenti un piano chiaro, verificabile, senza paura di nominare una commissione indipendente di controllo, o una personalità che gode della fiducia di tutti, nazionalisti tirchi compresi. Mario Monti, per esempio».
Che succederà se la proposta della Commissione non otterrà l’approvazione all’unanimità?
«Allora bisognerà avere il coraggio politico di dire che il troppo è troppo. Siamo stati per anni ostaggio della Gran Bretagna, dopo la Brexit non possiamo rimanere appesi ai no dei Paesi Bassi o dell’Austria. Se preferiscono uscire dall’Europa, se ne prendano le responsabilità».
Nessuno osa più pronunciare la parola, ma quando si fanno trasferimenti di risorse e si ipotizzano tasse per finanziare il budget europeo, non siamo di fatto davanti a un embrione di federalismo?
«Sì, ma in realtà funziona nell’altro senso. È il progetto politico che legittima i trasferimenti. E il progetto politico è reso necessario più che mai dall’epidemia. Vogliamo governare la globalizzazione, riportare in Europa parte della catena di valore delle industrie, anche per produrre vaccini e farmaci, per esempio. O si fa come Europa, o la Cina mangerà in un boccone qualsiasi singolo Paese europeo».