Nelle ombre dell’oggi

 

Mattia Feltri

Scopro da Alfonso Berardinelli (Il Foglio) che Nino Aragno, piccolo e raffinatissimo editore torinese, ha appena ripubblicato «La crisi delle civiltà» del filosofo olandese Johan Huizinga, e gli ha restituito il bel titolo originario, «Nelle ombre del domani». Huizinga lo scrisse nel 1935, a nazismo e comunismo dominanti, e tratteggiò il popolo europeo come un fanciullo dentro un mondo di prodigi, «in un perdurante eccesso di parole stampate o scagliate attraverso l’etere», istruito e dunque persuaso di sapere tutto e deciso a «dar vigore di legge ai suoi luoghi comuni da caffè», un essere perennemente e irragionevolmente desiderante, e in definitiva spinto verso una triade barbarica già nota all’uomo delle caverne: «Benessere, potenza, sicurezza». Nel 1942 – poco prima di essere arrestato dalla Gestapo, rinchiuso nel lager e poi confinato come ostaggio, condizione nella quale morì nel 1945 – Huizinga ricevette visita dallo scrittore Gino Tomajuoli che, disperato nel fuoco della guerra e della follia collettiva, voleva sapere come «liberare lo spirito dalle pesanti nebbie della falsa conoscenza». Huizinga rispose di non essere stupito che proprio un italiano si ponesse il problema. L’Italia, disse, nonostante il fascismo ha ancora una vitalità spirituale, «forse sarà ancora l’Italia a indicare la strada» della civiltà, che in democrazia prevede «sacrificio, autolimitazione di parte dei propri diritti, dei pieni poteri e della sete di piaceri e di benessere». Era un profeta, Huizinga. Ma quanto all’Italia è tornata lì, alle caverne: benessere, potenza, sicurezza.

Scopro da Alfonso Berardinelli (Il Foglio) che Nino Aragno, piccolo e raffinatissimo editore torinese, ha appena ripubblicato «La crisi delle civiltà» del filosofo olandese Johan Huizinga, e gli ha restituito il bel titolo originario, «Nelle ombre del domani». Huizinga lo scrisse nel 1935, a nazismo e comunismo dominanti, e tratteggiò il popolo europeo come un fanciullo dentro un mondo di prodigi, «in un perdurante eccesso di parole stampate o scagliate attraverso l’etere», istruito e dunque persuaso di sapere tutto e deciso a «dar vigore di legge ai suoi luoghi comuni da caffè», un essere perennemente e irragionevolmente desiderante, e in definitiva spinto verso una triade barbarica già nota all’uomo delle caverne: «Benessere, potenza, sicurezza». Nel 1942 – poco prima di essere arrestato dalla Gestapo, rinchiuso nel lager e poi confinato come ostaggio, condizione nella quale morì nel 1945 – Huizinga ricevette visita dallo scrittore Gino Tomajuoli che, disperato nel fuoco della guerra e della follia collettiva, voleva sapere come «liberare lo spirito dalle pesanti nebbie della falsa conoscenza». Huizinga rispose di non essere stupito che proprio un italiano si ponesse il problema. L’Italia, disse, nonostante il fascismo ha ancora una vitalità spirituale, «forse sarà ancora l’Italia a indicare la strada» della civiltà, che in democrazia prevede «sacrificio, autolimitazione di parte dei propri diritti, dei pieni poteri e della sete di piaceri e di benessere». Era un profeta, Huizinga. Ma quanto all’Italia è tornata lì, alle caverne: benessere, potenza, sicurezza.

 

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