Mps, no alle richieste Unicredit Ferma la trattativa con il Tesoro

 

Il Mef indisponibile a un aumento da 7 miliardi prima della vendita. Il nodo esuberi

Paola Pica, Fabrizio Massaro

Non sono bastati tre mesi di trattative serrate tra Unicredit e Tesoro per venire a capo del complesso dossier Monte dei Paschi di Siena. Ieri, dopo giorni di indiscrezioni, sarebbe arrivata la rottura del tavolo. Troppo distanti le posizioni delle due parti e troppo stringenti le condizioni che si erano dati Unicredit e lo stesso ministero del Tesoro che della banca di Siena si è trovato azionista con il 64% dopo averne impedito il default. Il ministero avrebbe giudicato «troppo punitiva per i contribuenti» la ricapitalizzazione da 7 miliardi chiesta da Unicredit per la banca senese. La non risposta del premier Mario Draghi sulla possibilità di raggiungere un accordo entro fine mese — «non lo so» ha detto a Bruxelles — aveva in qualche modo lasciato intuire le criticità. Il ministero di Via XX Settembre aveva l’obiettivo di uscire da Mps entro fine anno in linea con gli accordi presi nel 2017 a Bruxelles. Era l’anno del salvataggio da 5,4 miliardi.

La banca guidata da Andrea Orcel è presieduta dall’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan si era seduta al tavolo a fine luglio chiedendo di prendere Mps senza consumare capitale proprio, assorbendo solo la parte commerciale buona che le permettesse di accrescere gli utili, con un accordo sindacale sugli esuberi, senza crediti deteriorati attuali e futuri e con la protezione dalle cause legali legate alle passate gestioni. Per rispettare queste condizioni, il costo stimato per lo Stato si aggirerebbe sui 7-8 miliardi, tra aumento di capitale, costi per 5-7 mila esuberi e altri oneri. Troppo per le casse pubbliche, considerato che il governo ha messo sul piatto — e appena rinnovato fino a giugno 2022 — anche 2,5 miliardi di agevolazioni fiscali (le cosiddette Dta).

In Parlamento a inizio agosto il ministro dell’Economia, Daniele Franco, aveva sostenuto la cessione a Unicredit «ma non a tutti i costi» per le casse dello Stato.

L’affermazione del Pd al voto amministrativo del 3-4 ottobre ha dato forza alla linea indicata dal segretario Enrico Letta, eletto deputato proprio nella città toscana: tutela dei posti di lavoro, salvaguardia del marchio, cuore della banca a Siena, continuità di una presenza pubblica.

Non solo sul capitale — tema finanziario fondamentale — ma anche su componenti più sociali come la suddivisione di Mps e il destino del marchio non è stato trovato l’accordo. Da Cinquestelle, Lega e dal Pd la linea era «niente spezzatino». Ma Orcel non aveva intenzione di rilevare le parti non commerciali di Mps come gli uffici centrali, che a Siena occupa migliaia di dipendenti, le attività di leasing e factoring, il centro informatico. Per venire incontro alle richieste del potenziale acquirente — l’unico ad aver risposto all’appello del governo — erano state coinvolte le società pubbliche Amco e Mcc per rilevare i crediti deteriorati e 200-300 filiali escluse da Unicredit dal perimetro, ma non è bastato.

Ora il Tesoro dovrà trovare un piano B, negoziando con la Commissione europea e la Bce tempi più lunghi per la privatizzazione. La data di fine 2021 non è perentoria; andranno discusse con la Concorrenza guidata da Margrethe Vestager ulteriori «misure compensative», cioè maggiori risparmi di costi sotto forma di esuberi di personale e chiusure di filiali. Si ripartirà probabilmente dal piano di ristrutturazione «stand-alone» predisposto a inizio anno dall’amministratore delegato del Montepaschi Guido Bastianini, che già prevedeva un aumento di capitale da 2,5 miliardi e 2.670 esuberi netti. Lo Stato dovrebbe sottoscrivere quantomeno il suo 64%. Sul mercato si fanno ipotesi anche su un eventuale azzeramento dei bond subordinati (burden sharing) ma per ora non ci sono indicazioni .

«Comunque vada a finire, non accetteremo tagli di personale se non attraverso prepensionamenti su base volontaria, ci opporremo con tutti i mezzi a qualsiasi tentativo di macelleria sociale», ha dichiarato ieri il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni.

E Unicredit? Giovedì presenta i conti trimestrali e Orcel spiegherà le sue ragioni al mercato, presso il quale gode di grande credibilità. A novembre presenterà il nuovo pino industriale che dovrebbe prevedere anche operazioni straordinarie: tra le ipotesi che circolano in queste ore, una mossa su Banco Bpm o all’estero.

 

 

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