Da Antonveneta all’incertezza di oggi Il vortice di 15 anni

A.T.

 

siena Gli spot firmati da registi famosi, lo sport come vetrina e mire espansionistiche senza fine. Se è vero che il 1472 è l’anno di nascita, quello che Banca Mps realizza tra il 1996 e il 2007 non ha precedenti per voracità e ritmi di crescita. Il fiore all’occhiello, o almeno quello che doveva essere, è l’acquisto di Banca Antonveneta. Dieci miliardi per un’operazione che trova pochi contraddittori sul momento, ma che sarà l’entrata in un tunnel da dove Rocca Salimbeni non è ancora uscita. La verità viene a galla nel giro di poco e si scopre che le risorse sborsate per accrescere il proprio raggio sono quasi il doppio. La Banca d’Italia inizia ad aprire gli occhi e avvia una serie di ispezioni. Sono gli anni dei bond Santorini e Alexandria, utilizzati per cercare di coprire le perdite. Il prezzo è pagato dalla Fondazione Mps, che indebitata per coprire gli aumenti di capitale dovuti ad Antonveneta, inizia a cedere quote, fino a scendere sotto il 50% nel 2012. Montepaschi l’anno prima aveva fatto registrare un perdita da quasi 5 miliardi. È tempo di cambiare i vertici, prima va via l’ad Antonio Vigni, sostituito da Fabrizio Viola, poi il presidente Giuseppe Mussari, rimpiazzato da Alessandro Profumo. Escono i protagonisti della scalata ad Antonveneta ed entra la Procura che a maggio 2012 apre un’inchiesta sulla maxi-acquisizione. Lo scandalo emerge con forza nel 2013, anno che fa registrare anche la morte del responsabile della comunicazione, David Rossi, in circostanze mai del tutto chiarite. Sul fronte finanziario si procede a vari aumenti di capitale, che però non si rivelano sufficienti a coprire i buchi di bilancio. Nel 2016 lo Stato, nell’ambito dell’operazione «Salvabanche», con 5,4 miliardi diventa il primo azionista di Mps, arrivando a possedere il 70% del capitale (oggi sceso al 64%). Due anni dopo Rocca Salimbeni fa registrare il primo utile da tempo, con un attivo di quasi 300 milioni. Il resto è storia recente, con un capitolo finale che, nonostante gli assalti di Unicredit, deve ancora scriversi.

 

 

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