I bambini nella neve la marcia dei migranti verso il confine francese

Brunella Giovara
CLAVIERE (TORINO) — Ci si potrebbe anche vergognare un po’, di fronte al bambino con il piumino rosso che accetta con dignità un pezzo di pizza calda, intorno altri frignano perché non vogliono sciare. Questo non piange, non ride, ha solo fame. E mangiando insieme la pizza della boulangerie, si capisce che è afghano, è solo, e attraverserà il confine per andare a Londra. “London” e “Afghanistan”, solo due parole. Qualcuno gli ha detto di stare zitto: sei un clandestino, puoi finire in una casa per minori non accompagnati, la tua corsa verso il futuro si fermerebbe qui, a qualche chilometro dalla Francia.
Ma intanto è già scappato (avrà 12 anni, forse meno) tra coetanei ignari, vicino alla scuola di sci. «Eh, ce ne sono come lui…», di questi bambini nella neve racconta don Luigi Chiampo, su queste Alpi tappa della rotta balcanica, ora percorse da famiglie con i neonati al collo, e bambini soli. Don Luigi è un prete di frontiera: nato in Valsusa, conosce bene la zona e anche gli animi. Ha fondato un Rifugio dove si offre un letto, una cena calda, abiti da neve. Come per i pellegrini del medioevo, che passavano dal Monginevro per andare a Santiago de Compostela, o al contrario, verso Roma.
Nevicava ieri, su questa Via Francigena. Ma il meteo non ha fermato i ragazzi (un algerino, un marocchino, un tunisino e un senegalese) che aspettavano il pullman per Claviere, diretti rispettivamente a Lione, Parigi, Dortmund e uno non lo sapeva ancora. Quante ore di cammino? «Tre-quattro. Siamo forti». Come tutti, hanno comprato delle mappe, e sul Gps vedono la direzione. Ma sono mappe “estive”, manca la neve. Nel business dietro questa transumanza, molti pagano per arrivare in Francia, invece sono ancora in paesi italiani con nomi francesi, è una truffa crudele.
Alla pista di fondo, ecco la famiglia di Samir, ex poliziotto afghano. In spalla, la figlia Noor, tre anni, quarto tentativo di passaggio. Ha un cappellino con i pupazzi, ma questo non la consola. La madre Amal tiene nel marsupio Rashid, 6 mesi, nato nel campo profughi di Moria, in Grecia. Amal ha una ciocca di capelli dipinta di verde, un segno di libertà conquistato nel viaggio iniziato «tre anni fa, vivevamo a Kabul, poi i talebani mi hanno sparato», dice il marito. Mostra la cicatrice, «ho deciso di partire». Da lì, Turchia, Egeo, Grecia, Bosnia, Croazia, Slovenia, Trieste. Con gli scarponi alti e persino i bastoncini, la famiglia si mimetizza con i gitanti, poi si sente solo uno zic zic di passi nella neve: «Ci aspettano in Germania…». Gli atleti ci mettono «un paio d’ore, da Claviere a Briançon sono una decina di chilometri, aggirando Montgenèvre», dice Cristina Alpe, coordinatrice del soccorso alpino locale. Passando per il Col Saurel (2.400 metri), o il Col Chabaud (2.215) o il Col Bousson (2.150). «Ma le famiglie ci mettono 8/10 ore, anche più. Il rischio sono le lastre di ghiaccio», poi bisogna andarli a salvare, come fanno i capistazione di Bardonecchia, Carlo Rossetti, e di Beaulard, Francesca Rava.
Molti preferiscono partire di notte, il che raddoppia i pericoli. Seguono le piste della Via Lattea, risalgono verso Briançon, e da lì al rifugio Les Terrasses Solidaires, gestito da volontari francesi. L’altro ieri ne hanno avuti quaranta. La polizia francese non li ha visti, o forse era girata dall’altra parte, neanche loro vogliono dei morti nella loro neve. Ma l’altra sera hanno chiamato la Croce rossa italiana, che andasse a riprendersi la famiglia di Samir. I bambini hanno pianto forte, nel buio e nelle luci blu lampeggianti. Sono tornati a Oulx, al Rifugio Fraternità Massi, davanti alla caserma degli alpini.
Il Rifugio è come una caserma, sempre aperto e operativo, «abbiamo 80 posti letto, arrivano a tutte le ore. Spieghiamo alle famiglie i rischi, ma nessuno li può fermare», racconta Maurizio. Gestito dalla Fondazione Talitha Kum, «frase armena dal Vangelo di Marco, dove Gesù risorge una bambina», traduce don Luigi. Qualcosa del genere è successo il 25 marzo 2021, quando una bambina afghana di 11 anni respinta al confine, è stata ricoverata in stato di shock e ipotermia, e si è salvata. Ma solo 20 giorni fa, sui binari della ferrovia a Salbertrand, hanno trovato i resti di un cadavere. «Si chiamava Ullah, 15 anni, afghano. Identificato dalle impronte, perché era in una casa per minori a Udine. Scappato, il giorno dopo era già qui», a morire. Don Luigi conosce questi scavalcamontagne minorenni. «Nel 2021 abbiamo avuto 15mila passaggi, molti bambini, alcuni nati per strada. E noi siamo border line, li accogliamo sapendo che non hanno diritto a stare sul territorio italiano, né titolo per andare in un Paese straniero». Ma dal 2018, quando la rotta balcanica ha trovato qui il suo sbocco verso il Nord Europa, le istituzioni hanno capito l’emergenza umanitaria, a oggi sono nove i morti in questa neve. «Con la Fondazione collaborano 200 volontari, di ogni espressione del territorio». Le suore di Susa. Gli scout, i No Tav, la Croce rossa, i Comuni di Oulx, Bardonecchia e Claviere. Rainbow4Africa. Il Soccorso alpino, la Diaconia valdese. «Il 27 dicembre è salito il nuovo prefetto di Torino, ha constatato che ci sono bambini, fasce deboli, che c’è una parte emergenziale, una necessità per il bene dell’uomo». Daniela Balocco, volontaria addetta alla vestizione: «Bisogna trovare gli scarponi giusti, i pantaloni impermeabili. Si stupiscono che tutto sia gratis, ringraziano, partono». Per la cronaca: la famiglia di Samir è passata, al quinto tentativo. Del bambino con la giacca rossa, ancora nessuna notizia.
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