Manovra Frankenstein tra micro interventi e mance elettorali.

Oggi il via libera alla legge di Bilancio, lievitata a 1.247 commi e 27,8 miliardi. Ma le misure per la crescita ne valgono appena 5,5
ROBERTO PETRINI,
ROMA
Una manovra « Frankenstein » l’ha definita Giulio Marcon, deputato di Sinistra italiana, dunque animato anche dalla polemica politica di chi sta all’opposizione. Ma a ben guardare quello che sorprende di più nella manovra che oggi il Senato trasformerà in legge dello Stato è proprio la mastodontica costruzione e la crescita a dismisura dell’articolato. In quella che viene definita « manovra » ci sono tre provvedimenti, la legge di Bilancio vera e propria, il decretone fiscale, il Milleproroghe e, almeno a seguire i desideri di qualcuno, sarebbe dovuta entrarci anche la tristemente nota « legge mancia». E’ l’effetto fine-legislatura: la manovra del governo Gentiloni paga il prezzo delle elezioni alle porte.
Partita con 80 articoli nelle stanze del ministero del Tesoro quando fu varata da Palazzo Chigi, il 17 ottobre, era già arrivata a 120 articoli: l’esame del Senato l’ha portata a circa 700 commi, l’ultimo testo ne somma 1.247. L’entità è cresciuta dai 20 miliardi annunciati dal governo ai 27,8 miliardi che vanno intesi come risorse che verranno spese. Ma il punto è proprio questo: la metà di queste risorse, 15,7 miliardi, è stata impiegata per evitare che scattasse il celebre aumento dell’Iva al 25% dal 1° gennaio del prossimo anno. A conti fatti, e al netto di una serie di semplici partite contabili, quanto va direttamente all’economia e allo sviluppo non supera i 5,5 miliardi. Qui il grosso sono le risorse per i contratti degli statali che arrivano a 1,6 miliardi, un po’ per scuola, famiglie e poveri; poi Comuni e le missioni internazionali. Naturalmente tra queste cifre trovano spazio anche le uniche due misure veramente indirizzate allo sviluppo: la decontribuzione al 50% per ogni nuovo assunto a tempo indeterminato e la proroga dei superammortamenti per chi investe in robot e tecnologie.
Poco, troppo poco per molti. Ma era difficile fare di più. Oltre alla «cambiale» dell’Iva c’è l’arcigna sorveglianza di Bruxelles che sonnecchia, ma non dorme affatto: ci hanno già detto che la manovra bis della primavera scorsa non ha tenuto e che il prossimo anno, sempre in primavera, dovremo fare un ulteriore intervento correttivo di 0,2 punti di Pil, cioè 3,4 miliardi. Senza contare che il debito corre, che la somma che si intende recuperare dalle privatizzazioni è stata ridotta dallo 0,3 allo 0,2% del Pil e che a Roma nei giorni scorsi sono arrivati, a sorpresa e in gran silenzio, gli ispettori dell’Fmi.
Tutte grane che saranno lasciate in eredità al prossimo governo come l’aumento dell’Iva, semplicemente rinviato al 1° gennaio del 2019 e per il quale i successori di Gentiloni e Padoan dovranno trovare, fin dal Def del prossimo aprile, 12,5 miliardi.
La pressione della futura campagna elettorale, già in atto, che non si è potuta espandere sfondando i saldi di bilancio, si è frantumata in una quantità immane di micromisure, settoriali e territoriali, che hanno scandalosamente riempito il testo: si calcola che l’esame del Senato abbia introdotto 70 emendamenti « spuri » e che la Camera ne ha aggiunti altri 115. L’elenco è sterminato: enti, associazioni, fondazioni, c’è di tutto per cifre irrisorie, dai 100 mila euro al milioncino.
La politica, il tentativo di tenere insieme la maggioranza, ha segnato la « Finanziaria » , ma scontentato tutti. La sinistra e la Cgil volevano il congelamento dell’età pensionabile e invece è arrivata solo una deroga parziale per 15 mestieri usuranti; Mdp chiedeva l’abolizione del superticket sulle prestazioni specialistiche per 600 milioni ma sono arrivati solo 60 milioni sul conto delle Regioni che provvederanno; i centristi avevano minacciato di non votare la legge di Bilancio ma sul bonus bebè avranno il rifinanziamento per un solo anno e incasseranno un aumento a 4.000 euro della soglia per considerare a carico i figli.
Crescono invece i bonus, arrivano a 21, compreso il contestato emolumento per i diciottenni, senza distinzione di reddito, per comprare libri e per andare al museo. Si moltiplicano le detrazioni fiscali, contro le indicazioni degli ultimi Def che annunciavano un drastico taglio: la migliore e consolidata è l’ecobonus, ma arrivano estensioni anche alle piante di basilico coltivate nel terrazzo di casa, nuove detrazioni per la tessera del bus e per gli alimenti a fini medici speciali.
I parlamentari sono stanchi, ma i lobbisti dovranno prendersi un meritato periodo di riposo. Sono entrati un po’ dovunque: nella vicenda del mancato aumento della tassa sull’imbarco aereo, nella paventata imposta sulle sigarette, nel rinvio della direttiva Bolkestein, favorendo così le bancarelle ( nessun partito si è espresso contro). Senza contare l’ecomostro della web tax: partita con le migliori intenzioni, è stata resa deforme dalle pressioni, fino al punto che invece dei giganti del web rischiano di pagarla le aziende italiane.
Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/