Maestro di schiettezza.

di Rodolfo Di Biasio*

 

Nelle mie peregrinazioni tra i poeti mi accade (e mi è sempre accaduto) fin da quando, appena dopo il terzo liceo, seppi della sua esistenza, di tornare a Saba. Allora la lettura della poesia nei licei si fermava alla triade Carducci, Pascoli e D’Annunzio. Di tornare a Saba come ad un punto di riferimento, come ad una boa che segnala nel suo eterno dondolio. O come a un’ancora. Non saprei dire. Certo è che continuo a sillabare la sua poesia. Costantemente. Tenacemente.

Più di una volta ho cercato di dire di questa mia affezione. Parlandone ai miei alunni. Scrivendone. Come mi accadde negli anni Ottanta quando per Il Paginone di Radiodue, la bella trasmissione ideata e realizzata da quell’impareggiabile intellettuale e scrittore che è stato Giuseppe Neri, preparai un ciclo di tredici puntate di mezz’ora dedicata ognuna ad un grande poeta del ’900 (da Ungaretti a De Libero, a Campana ecc.). Nella trasmissione facevo dialogare un’intervistatrice e il poeta. Tentavo in altre parole di far dire al poeta stesso della sua poesia. Una bella avventura perché ad un certo punto mi pareva veramente di sentire la voce del poeta che parlava di sé.

 

La polla profonda del suo far poesia

 

Ho davanti a me il testo della puntata su Saba. A rileggerlo mi sembra che trent’anni non siano passati. Le ragioni della sua poesia mi pare che Saba le dica. E il tempo le conferma sempre di più, perché la poesia di Saba si fa sempre più necessaria, inamovibile dal nostro sentire e dal nostro scrivere. Sicché vanno riconsiderati i supporti che ad essa hanno portato il poeta. Ed uno di questi, e nell’intervista viene fuori, è il riconoscimento di sé poeta che giovane soldato tra i soldati si avviava a scoprire e a connotare la scaturigine, la polla profonda e originale del suo far poesia. Ecco i versi: Me stesso ritrovai tra i miei soldati./ Nacque tra essi la mia Musa schietta. E schietta è aggettivo vorticoso, intrigante, che può essere applicato al corso millenario della poesia.

 

Frammentati ma indistinguibili

 

A questo punto la mia non vuole essere altro che una riflessione tesa a segnalare la necessità di tornare alla schiettezza. Il viaggio della poesia italiana in questi ultimi cinquant’anni, a partire dalla neoavanguardia, è stato un viaggio accidentale, controverso, contraddittorio, pulviscolare, frantumato. Come ebbe a scrivere Giuliano Manacorda i poeti sono andati avanti tutti in ordine sparso eppure sembra che, nonostante questa frammentazione, si sia stabilizzata una sorta di koinè che fa indistinguibili troppe volte un poeta dall’altro. Non abbiamo più, così mi pare almeno, delle coordinate entro cui muoverci. Si è data sempre più sostanza alla forma, ma la poesia sembra aver perduto la sua sostanza. Non è un gioco di parole, perché questa perdita di senso della poesia ha creato un distacco dal lettore, ha portato via dalla poesia lettori che si disaffezionano e non è solo il lettore comune a farsi sempre più lontano dal testo poetico, ma è anche la scuola dove il testo (e la sua memorizzazione) viene sempre più emarginato.

 

Per la beatitudine romita

 

Ed ecco allora la necessità della schiettezza in poesia e Saba questo fondo lo ha cercato: Amai la verità che giace al fondo. Il suo è stato sempre un lavoro di ripescaggio da tutto ciò che la vita gli poneva davanti: forse pochi poeti hanno attinto così tanto dalle persone incontrate, dai luoghi attraversati. Insomma tutto il farsi della vita nella sua urgenza. Dalla rilevazione degli aspetti (anche crudi) della vita al lato bello della vita, al suo incanto, ai suoi incantamenti.

È l’approdo ad una cifra di poesia unica. Leggiamo di lui questi versi: E chi mi avrebbe detto la mia vita / così bella, con tanti dolci affanni, // e tanta beatitudine romita!

Sono versi alla Saba, sono versi schietti che portano alla verità. Scorrono in una loro naturalezza che si fa stupore, sembrano essere stati scritti di getto ma quante cose in essi! Dal viaggio nella vita così bella con i suoi dolci affanni fino alla tanta beatitudine romita.

Perciò oggi la lezione di Saba può farsi ancora più incidente. Non ha avuto paura di affermare, nel momento in cui intorno a lui gli sperimentalismi pullulavano, di inseguire la rima più antica del mondo: Mi incantò la rima fiore / amore, / la più antica difficile del mondo.

 

Una rotta nella quietudine

 

Disseppelliva così un modo di far poesia antico come la poesia e intanto dipanava il filo rosso del suo scrivere rielaborando i suoi materiali nella sua cucina di poeta.

Questo, a ottant’anni mi sento di pensare e di dire. Con il tempo, e soprattutto in questi giorni nostri, la sua presenza di maestro si è fatta più urgente per aver tracciato nella carreggiata della poesia due solchi che vanno ripercorsi. Eccoli i due solchi. La schiettezza dei temi da qualsiasi parte provengano al poeta e la capacità di reificare le parole abusate della poesia: Amai trite parole che non uno / osava.

Dalla sua posizione periferica (la Trieste da lui abitata in ogni pietra) Saba continua a consegnare così al lettore il senso intero di un attraversamento, di una rotta nella quietudine di un dettato piano, coinvolgente, persuasivo. In un linguaggio che si fa sposo del senso.

 

 

*Rodolfo Di Biasio è nato a Ventosa nel 1937. Vive a Formia. Ha pubblicato i seguenti libri: Poesia: Niente è mutato, Rebellato 1962; Poesie dalla terra, De Luca 1972; Le sorti tentate, Lacaita 1977; I ritorni, Stilb 1986; Patmos, Stamperia dell’Arancio 1995, tradotto in inglese (Patmos, edited by Barbara Carle, Stony Brook, New York, Gradiva Publications 1998) e in spagnolo (Patmos, traducciòn y nota de Emilio Coco in Salinas, num. 17, 2003) e in francese (Patmos, traduit en francaise par Barbara Carle et Michel Sirvent, Ghenomena 2013); Altre contingenze, Caramanica 1998, (antologia delle sue poesie dal 1958 al 1995), tradotto in inglese (Other Contingencies, translated by Barbara Carle, Caramanica/Gradiva Publications 2001) e in spagnolo (Otras contingencias, traducciòn y pròlogo de Emilio Coco, Madrid, Fugger Libros Sial Ediciones 2008); Poemetti elementari, Il Labirinto 2008; Mute voci mute (Ghenomena 2017). Narrativa: Il pacco dall’America, Gremese 1977; La strega di Pasqua, Bastogi 1982; I quattro camminanti, Sansoni 1991(2a ed. 1992), ristampato poi da Ghenomena Edizioni, 2009 e tradotto in inglese (Wayfarers Four, traslated by Justin Vitiello, West Lafayette, Indiana, Bordighera Incorporated, USA 1998). Critica: Bonaviri, La Nuova Italia, Il Castoro, Firenze 1978. Suoi testi poetici sono stati pubblicati in riviste e antologie italiane e straniere. È stato direttore responsabile delle riviste «L’Argine Letterario» e «Rapporti». Ha tenuto una ventennale collaborazione con la RAI con sceneggiati su tematiche storiche e letterarie. Contemporaneamente alla sua produzione artistica ha svolto e svolge una intensa attività critica.