Giustizia, la riforma salta: la lite è sulla prescrizione

La Lega rimette in discussione lo stop dopo il primo grado e in Consiglio dei ministri il braccio di ferro va avanti fino a tarda notte. Salvini: “Il testo di Bonafede è acqua, prendiamoci altro tempo per fare le cose per bene”
ROMA – La bestia nera è sempre la prescrizione. Quello stop dopo il primo grado ottenuto dal Guardasigilli Bonafede sei mesi fa con la legge Spazzacorrotti che entrerà in vigore a gennaio 2020. Non andava, e tuttora non va giù alla Lega, pronta a mandare all’aria definitivamente la riforma della giustizia di Bonafede e lo stesso governo pur di bloccarla. E insieme il Carroccio, stressato dalle indagini in corso su Moscopoli e su Siri, si batte per una decisa stretta sulle intercettazioni su cui, all’opposto, M5S fa muro. Tutto il resto, la durata dei processi, la separazione delle carriere, il sistema di voto per il Csm, le sanzioni disciplinari sui giudici “lumaca”, è di contorno.

Per questo, per un’intera giornata, Matteo Salvini e Giulia Bongiorno hanno duramente litigato con Luigi Di Maio e col Guardasigilli, mentre il premier Giuseppe Conte tentava disperatamente una mediazione vantando invece il merito del nuovo processo civile previsto da Bonafede, secondo lui più rapido e meno costoso, “l’unica cosa che veramente interessa ai cittadini” dice da esperto avvocato civilista. Ma dopo due lunghe interruzioni, il consiglio dei ministri ancora ieri sera si arrovellava sulla riforma, dopo una pausa alle 22 per uno spuntino.

“La trattativa è in stallo” dicevano fonti leghiste, negli stessi minuti in cui saltava anche la prevista conferenza stampa. “Vogliono un processo penale brevissimo e impossibile” replicavano gli uomini di Bonafede. E Salvini invitava alla prudenza e al rinvio: “Prendiamoci altro tempo perché sulla giustizia bisogna fare le cose per bene”. E ancora: “Ci stiamo battendo per la certezza della pena, per tempi più brevi dei processi e per dare garanzia agli innocenti, che non possono essere sotto inchiesta a vita”. Una conferma che il tasto dolente è quello della prescrizione bloccata, che secondo i leghisti potrebbe portare a processi infiniti se nella riforma non si mette un paletto. I sei anni proposti da Bonafede sono troppi. Altrimenti bisogna cambiare di nuovo la prescrizione.

Comincia male e finisce peggio la battaglia sulla giustizia tra gli alleati di governo. Uno scontro durissimo in mattinata, poi Salvini e Di Maio si vedono a palazzo Chigi con Conte, parlano con Bonafede. Non raggiungono un punto di mediazione. Salvini si apparta con Bongiorno. Ma tra i grillini bruciano le parole pronunciate poche ore prima da Salvini che riunisce al Viminale i suoi uomini di punta sulla giustizia, in testa Giulia Bongiorno, poi i sottosegretari Nicola Molteni e Jacopo Morrone.

Subito dopo, via Fb, parte l’affondo contro Bonafede. La sua non è una riforma, ma un “riformina”, peggio “è acqua”. Il Guardasigilli ci mette pure “buona volontà” ma il risultato non è quello che vorrebbe la Lega, cioè “una riforma imponente, storica, che dimezza i tempi dei processi, premia chi merita e punisce chi sbaglia”. Soprattutto, nella riforma, non ci sono né la separazione delle carriere, né le nuove norme sulle intercettazioni e sulla prescrizione.

È uno schiaffo pesante quello di Salvini, meditato da 24 ore, poi sferrato a freddo. Giusto negli stessi minuti a ridosso di mezzogiorno quando Luigi Di Maio lancia la sua foto con il braccio sulle spalle di un Bonafede sorridente, e parla di riforma “epocale” perché “sanziona i magistrati che perdono tempo, riduce drasticamente i tempi dei processi”, blocca “le spartizioni di potere al Csm”. Ma soprattutto “favorisce l’economia e gli investimenti, e rompe i rapporti torbidi tra magistratura e politica”. E chiude: “Sarebbe un grave danno al Paese se qualcuno cercasse di bloccarla”. Proprio quello che avviene ore dopo, nonostante gli sforzi di Conte per evitarlo.