Lo strappo del Pd.

CARMELO LOPAPA
ROMA.
Gli «impegni pregressi» dei ministri Luca Lotti e Maurizio Martina, i virus influenzali di Graziano Delrio e della sottosegretaria alla Presidenza Maria Elena Boschi. È la diserzione senza precedenti del blocco renziano, in un Consiglio dei ministri lampo che porta comunque alla designazione di Ignazio Visco per un secondo mandato da governatore della Banca d’Italia. Il passaggio si consuma in una manciata di minuti e pochi di più ne trascorrono perché il decreto di nomina venga controfirmato dal capo dello Stato Sergio Mattarella.
Ma a rubare la scena, a rimarcare una distanza politica che diventa anche fisica, sono le assenze. Non solo la sottosegretaria, presa di mira dalle opposizioni che da giorni le contestavano il “conflitto d’interessi” per la vicenda di Banca Etruria. Con lei restano fuori dalla riunione tutti gli uomini più vicini al leader Pd: Lotti (Sport), Delrio (Trasporti), Martina (vicesegretario pd e ministro dell’Agricoltura). A dispetto delle giustificazioni successive di ciascuno di loro, uno strappo rispetto alla decisione del premier Gentiloni. Matteo Renzi non fa mistero del disappunto, parlando durante il blitz di un paio d’ore a Catania in vista delle regionali, prima di raggiungere l’assemblea pd di Napoli: «Ciascuno rimane con le proprie idee. Io sono uno di quelli che non le manda a dire, la scelta è stata diversa da come avrei auspicato ma oggi il rispetto istituzionale prevede che si facciano gli auguri di buon lavoro al governatore Visco e si chiude qui».
Oggi, appunto. Da domani, d’ora in avanti, si apre un’altra partita che Renzi vuol combattere fino in fondo. E senza guardare in faccia nessuno. Nemmeno il governo e chi lo presiede. Con Paolo Gentiloni in queste ore si consumerà a beneficio di fotografi e telecamere l’abbraccio sul palco di Napoli, gesto di distensione a conferma che il problema non è lui, non è “Paolo” l’avversario («L’ho difeso quando lo volevano estromettere dalle liste nel 2013, l’ho suggerito come presidente al mio posto nel 2016», come rimarca Renzi nel libro di Bruno Vespa del quale ieri sono uscite alcune anticipazioni). Di certo, il leader del Pd non chiude affatto qui i suoi conti con l’affaire banche. L’onda sarà cavalcata durante l’intera campagna elettorale, anche sulla scia di quanto emergerà nelle prossime settimane dai lavori della Commissioni d’inchiesta sulle banche. È da quel fronte che il fuoco di fila renziano si attende le munizioni più pesanti fino allo scioglimento delle Camere. Soprattutto quando l’organismo presieduto da Pier Ferdinando Casini affronterà il capitolo Mps e banche venete. L’assenza dal Consiglio dei ministri di ieri è stato giusto un segnale, come spiega uno dei ministri protagonisti del forfait. Ma il clou, dal loro punto di vista, è di là da venire.
Già, perché l’obiettivo di Renzi è quello di porsi su questo come su altri argomenti dalla parte «dei cittadini», come va ripetendo da una tappa all’altra del viaggio in treno. Un ritorno al Renzi prima maniera, insomma. Ventre a terra ed elmetto in testa per la lunga e aspra campagna che lo attende. Anche a costo di mettersi in rotta di collisione con chicchessia, dai vertici di Bankitalia all’esecutivo. Va letto in questo senso anche il controcanto in cui l’ex premier si è prodotto ieri rispetto al ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli sulla storia dell’accompagnamento scuola-casa degli under 14. Il segretario e candidato premier annuncia un emendamento perché «siano i genitori a scegliere e ad assumersi le responsabilità ». Questione minima, ma altra presa di distanza. Come quella, di ben altro impatto, sull’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni, che il leader ha fatto già sapere di non avallare. L’Europa «da cambiare » sarà uno dei cavalli di battaglia della campagna appena iniziata: il progetto renziano che punta a riportare il deficit sulla soglia del 3 per cento non incontra i favori del ministro dell’Economia Padoan e ha già provocato scossoni a Bruxelles. Per non dire del taglio dei vitalizi sul quale Renzi andrà allo scontro, nonostante le riserve tra alcuni senatori Pd che hanno congelato l’iter sul traguardo. «Non mi faccio scavalcare da Grillo», è il grido di battaglia del segretario. Lo attende l’insidioso day after del voto siciliano, nonostante la toccata e fuga sull’isola per ridurre al minimo la sua impronta.
Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/

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