LO SPETTRO DEL BIPOLARISMO POPULISTA.

 

Il commento
Non importa sapere chi saranno alla fine i presidenti delle Camere.
A meno di improbabili colpi di scena, i nomi usciranno comunque dall’intesa tra i nuovi padroni della politica italiana: Matteo Salvini e Luigi Di Maio. pagina 32 on importa sapere chi saranno alla fine i nuovi presidenti delle Camere. A meno di improbabili colpi di scena, i nomi usciranno comunque dall’intesa tra i nuovi padroni della politica italiana: Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Anche se l’eletto al Senato fosse un forzista, non cambierebbe comunque l’esito della partita. Vinta dai leader di Lega e M5S che l’hanno giocata insieme dal primo all’ultimo minuto, come fossero già una coalizione. La sintonia tra i due è stata palese dall’attimo successivo allo spoglio elettorale. Ieri è caduto l’ultimo velo. Con la scelta unilaterale di votare la forzista Anna Maria Bernini nel secondo scrutinio al Senato, Salvini ha non solo messo Berlusconi di fronte a un ultimatum, ma ha soprattutto messo in chiaro chi è il suo vero alleato in questa legislatura. Pur di non perdere l’asse con i 5S, minacciato dall’insistenza di Berlusconi su Paolo Romani, non ha esitato a minare il già malconcio edificio del centrodestra, quel simulacro di coalizione che già in campagna elettorale era apparso per ciò che in effetti era: uno sgangherato accrocchio utile solo a ratificare il cambio di leadership nel campo della destra italiana.
Ora Di Maio e Salvini non hanno più bisogno di dissimulare la loro intesa. La possono rivendicare e mettere a rendita. E non è più necessario nemmeno insistere con il ritornello che ha accompagnato le loro mosse, e cioè che la partita delle presidenze delle Camere fosse slegata da quella per la formazione del governo. Al contrario. L’elezione dei presidenti diventa chiaramente l’embrione di una formula politica per il governo, forte di numeri sufficienti e di affinità di progetto. Salvini contava di arrivarci tenendo al traino anche Berlusconi, purché accettasse il ruolo di vassallo.
Non lo ha accettato. E ora si va avanti con Di Maio.
Per fare cosa? I nuovi padroni della politica italiana sono spregiudicati abbastanza da sparigliare le vecchie casematte del Palazzo, ma non così sprovveduti da pensare di poter davvero dare vita a un governo di legislatura nel quale dovrebbero uno dare seguito alla promessa della flat tax, cara ai ceti produttivi del nord, e l’altro al reddito di cittadinanza, chimera degli elettori del sud. Possono però mettersi insieme il tempo necessario a riscrivere le regole del gioco, cambiando il sistema elettorale a loro immagine e somiglianza, e accordarsi su misure di emergenza sulle quali non faticherebbero a trovare un’intesa: lo stop all’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia, un qualche intervento sulle pensioni, un provvedimento di stretta sull’immigrazione. Due o tre misure di bandiera utili a proseguire da Palazzo Chigi la campagna elettorale appena conclusa, in attesa di aprire quella successiva che certo non tarderebbe troppo ad arrivare.
Restano ostacoli su questa strada. Gli alleati di ferro di oggi sanno di essere gli antagonisti di domani. O almeno, questo è ciò che vogliono, l’obiettivo a medio termine a cui lavorano. La scommessa è dichiarata e inquietante: gestire insieme la crisi di sistema e poi giocarsi il Paese al prossimo giro elettorale, trasformando l’Italia nel primo Paese a bipolarismo populista: l’alternativa tra un partito informe e padronale, che raccoglie indistintamente gli umori dello scontento popolare, e una costola italiana del lepenismo, che in qualunque altro Paese europeo sarebbe rubricato nella colonna dell’ultradestra.
Strada spianata dunque? Non ancora. Ciascuno dei due nuovi padroni ha qualcosa da perdere. Il M5S ha in pancia un elettorato sinistrorso che potrebbe non seguire la linea. La Lega dovrà faticare per ricucire uno strappo che non è solo di gruppi dirigenti, ma rischia di aprire una faglia duratura tra gli elettori del centrodestra. E il percorso istituzionale, a cominciare dai passaggi al Colle, è pieno di insidie. La strada, però, è tracciata. E i nuovi padroni sono bene in sella.
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