Lo smascheramento delle finzioni compiuto nel periodo intermedio ha condotto Nietzsche alla consapevolezza del vuoto e alla nostalgia del pieno. Questo vuoto, ossia questa distruzione di tutti i valori sinora ammessi, è il preliminare della ricostruzione proposta dal Superuomo. Nietzsche lo chiama decadenza, morte di Dio e nichilismo. Solo una trasmutazione di tutti i valori (Umwertung aller Werte) potrà consentire, in primo luogo all’individuo che abbia riconquistato sé stesso, ma anche alla società nel suo complesso, di pervenire alla guarigione. Una trasmutazione completa e radicale, dato che nessuno dei presunti e finti valori dell’Occidente merita di essere conservato. Essa verrà realizzata dalla volontà di potenza del Superuomo, con la gioiosa accettazione dell’eterno ritorno dell’identico (amor fati).

1. Inarrestabile decadenza

Questa totale notte dei valori, nascosta dall’illuminazione artificiale delle finzioni filosofiche, morali e religiose, ha un nome: morte di Dio. Cioè nichilismo. Nietzsche l’ha descritta e geneticamente compresa in tutto il processo dell’Occidente, che è di continua e inarrestabile décadence da quando Socrate e Platone hanno scisso il reale in un mondo sensibile, apparente e transitorio, e in un mondo ideale, eterno e soprannaturale. Egli usa sempre questo termine francese per rafforzarne la semantica e lo preferisce a quello tedesco di Verfall; una parola che era stata in quegli anni lanciata da Paul Bourget, nei suoi Essais de pshycologie contemporaine. Da autentico critico della cultura Nietzsche fa un uso generale del termine, anche se ne analizza i caratteri e gli effetti in tutte le sfere della vita europea. E intanto lo può fare in quanto (lui stesso ce lo dice) egli era pienamente partecipe di questa decadenza. Solo un decadente può capire pienamente la decadenza e Friedrich sapeva di esserlo anche lui, anche se del decadente era, nello stesso tempo, l’antitesi. Solo un decadente come io sono, ci confessa Nietzsche, poteva capire la decadenza di Wagner:

«Il problema della decadenza mi ha profondamente occupato. Io sono, proprio come Wagner, il figlio di questo tempo, cioè un decadente: ma solo io l’ho capito e me ne sono difeso, ho preso posizione contro quanto in me vi era di malato».

CW, prefazione

«Decadente e al tempo stesso inizio: mai nessuno ha avuto un fiuto più fine del mio per i segni dell’ascesa e della caduta, io sono per eccellenza il maestro di tutto questo, conosco entrambe le cose perché sono entrambe le cose».

E, Perché sono così saggio, 1

La decadenza è, in primo luogo, un naturale processo storico, che non va giudicato moralmente, ma capito nella sua fatalità. Essa non è solo un male:

«La degenerazione, l’andare in malora, il deperimento non sono condannabili in sé: sono una necessaria conseguenza della vita, dell’incremento della vita. Il fenomeno della decadenza è necessario come ogni altra nascita o progresso della vita: sopprimerla non è possibile. Anzi, la ragione chiede che le si renda giustizia».

V 40

In ogni campo della vita materiale o spirituale la decadenza è la rottura di un’unità:

«La vita non risiede più nel tutto».

CW 7

Un organismo, umano o sociale, si dissolve nelle sue parti, ciascuna delle quali procede, anzi più spesso retrocede, per proprio conto. Al posto della società gli individui, del tutto le parti, del centro la periferia. Si pensi al sistema solare: prima di Copernico aveva un senso, cosmologico e antropologico, dopo di lui l’intero cosmo rotola verso una x ignota. O alla musica di Wagner. La sua «melodia infinita», che tanto affascina le masse, è solo decadenza della musica, in essa il ritmo si dissolve in un’ambiguità senza capo né coda – la parte, la frase, l’attimo prevalgono sul tutto, sulla melodia, sul tempo. Di questa decadenza, alla cui conclusione troviamo il nichilismo, ma anche il suo superamento, Nietzsche traccia il percorso nella filosofia occidentale:

1. Fruizione piena del mondo (greci prima di Socrate);

2. Il mondo vero promesso al di là di quello apparente (Platone, cristianesimo);

3. Il mondo vero impone già in questa vita la legge del dovere (Kant);

4. Il mondo vero rimane un inconoscibile (positivismo);

5. Il cosiddetto «mondo vero» si rivela come una finzione e viene abolito;

6. Abolito il mondo vero è abolito anche quello apparente – non già il «mondo apparente», ma la pretesa «apparenza del mondo» (C, Come il «mondo vero» finì per diventare favola).

Se l’esito del processo di decadenza è il nichilismo, esso della prima non è la causa, ma la logica conclusione. Anche se il termine nichilismo si trova già nella Gaya scienza (346-7) e in Al di là del bene e del male (III, 26-7), la trattazione più diffusa appartiene ai frammenti degli anni 1887-’88, quegli stessi che furono riuniti sotto il titolo La volontà di potenza («Il Vangelo dell’avvenire», V, prefazione, 4). Che era il titolo della progettata summa del pensiero nietzschiano, il cui primo libro doveva appunto essere intitolato Il nichilismo europeo (V 1-134). Nietzsche, tuttavia, giunge a definire il concetto di nichilismo solo dopo avere annunciato, con entusiasmo e perentorietà, la morte di Dio.

Dio è morto

Gott ist tot – sarà nel famosissimo aforisma 125 della Gaya scienza ch’egli la comunica perentoriamente, prima di proporla come dogma nel suo Quinto Vangelo. Ma già nei due precedenti scritti la «rivelazione» stava per venire alla luce, in termini sarcastici alla Voltaire. Con una parodia del prologo del Vangelo secondo Giovanni: «In principio era il non-senso, e il non-senso era presso Dio! e Dio era (divinamente) il non-senso» (U II, 22). Questo «nonno del peccato» (AU 81) non era la verità, era piuttosto lo schermo e il pretesto per «la vanità, la bramosia del potere, l’impazienza, il terrore, il delirio, estasiato e atterrito, degli uomini» (AU 93); era «l’errore, la cecità, la nostra più lunga menzogna» (GS 344). Accesa una lanterna, di pieno mattino un uomo folle si mette alla ricerca: non dell’uomo, come Diogene, ma di Dio. E lo cerca dove deve cercarlo, nel mercato, cioè nella coscienza degli uomini, che di lui si servono per dare un senso al loro non-senso. Dalle parole del tolle Mensch è chiaro che la morte di Dio non significa che Dio è morto. Se Dio fosse Dio, non potrebbe morire. Ma Dio è esistito solo come ipotesi logica e assiologica, inventata per attribuire all’esistenza un valore. Il Gottist tot di Nietzsche non è ateismo (negazione di Dio), ma costatazione che quell’insieme di valori, chiamati «Dio», in cui gli uomini credevano, oggi non sono più valori, ma favole e vecchi racconti. Non è morto Dio, ma la «finzione-Dio». Ossia quel mondo soprasensibile, che era stato inventato come ideale capace di dare un senso alla vita terrena, proiettandola «al di là del mondo». Platone, col suo mondo delle Idee, aveva inventato, insieme, la metafisica e il nichilismo, del quale la morte di Dio è stata solo la logica ed esplicita conclusione. Anche qui è Heidegger che ci aiuta:

«L’espressione “Dio è morto” significa che il mondo ultrasensibile è senza forza reale, non dispensa vita alcuna. La metafisica, cioè la filosofia occidentale intesa come platonismo, è alla fine. Nietzsche intende la sua filosofia come la controcorrente della metafisica, cioè del platonismo»

Sentieri interrotti, p. 198

Ma la costatazione nietzschiana della morte di Dio è profetica, quindi prematura. Viene troppo presto e quando l’uomo folle se ne accorge, getta via la lanterna, in quanto ha compreso che il suo Vangelo non sarà ascoltato neppure da coloro che sono i veri assassini di Dio: cioè da quegli uomini che hanno smesso di credere nei valori, anche se apparentemente continuano a venerarli in luoghi appositi, le chiese, che non sono più templi del Dio vivente, ma fosse e sepolcri del Dio morto. Quegli uomini che sono i veri assassini di Dio e che si trovano ora «nell’assenza totale di valori, nello spazio vuoto, nella notte e nel nulla infinito» (GS 125). Dio è vissuto troppo a lungo, più di due millenni. Con la sua morte il destino dell’Occidente giunge alla sua conclusione. Già Hegel, nel suo scritto Fede e scienza (1802) e più tardi nella Fenomenologia dello spirito (1807), aveva parlato di «morte di Dio» – con lo scopo di annunciare non solo un decesso, ma anche una risurrezione nella storia e nella civiltà. E Max Stirner aveva parlato, negli Scritti minori, di «Dio come cadavere». Confermando in anticipo la convinzione di Nietzsche che l’anima tedesca è «teicida». La morte di Dio costituisce, per Nietzsche, il più grande evento della storia, in quanto segna un confine e propone un salto. Gli uomini, assassini di Dio, non se ne devono pentire, debbono solo sostituirlo, divenendo dèi essi stessi:

«C’è bisogno di una schiatta di nobili – e proprio questa è la divinità, che esistano molti dèi, ma nessun dio».

Z, Delle vecchie e nuove tavole, 11

Ecco la grande speranza di Zarathustra: proprio perché tutti gli dèi sono morti, ora può nascere il Superuomo, che trova proprio nel totale nichilismo il trampolino per il salto creativo di nuovi valori. La morte di Dio, cioè del sistema di valori della civiltà occidentale, è dunque il preliminare tragico e gioioso per il grande parto del Superuomo, che trova un mondo vuoto di valori e, pertanto, può crearne dei nuovi partendo solo da sé stesso. Proprio perché Dio è morto, proprio perché i valori tradizionali non valgono più, è possibile, anzi è necessaria una «trasvalutazione di tutti i valori». Se la vecchia «luce del mondo» si è spenta, occorre che il Superuomo ne inventi una nuova, facendola coincidere con sé stesso. L’ateismo di Nietzsche, dunque, nel senso di una consapevolezza che è morto quel dio che era solo una masochistica creazione dell’uomo, non è un ateismo della costatazione (Dio non esiste), come nell’ateismo scientifico dell’Ottocento: «Non credo in Dio, perché non ho bisogno di questa ipotesi» (Laplace). E non è neppure quella forma di ateismo che, anticipato da due autori di Nietzsche, Leopardi e Schopenhauer, prevarrà nel secolo successivo, l’ateismo della sofferenza: il male nel mondo impedisce di credere in un dio che l’abbia creato. È invece, come mostrò Max Scheler, un ateismo «postulatorio», che esprime una suprema esigenza di libertà e responsabilità (Uomo e storia, 1926): ossia una teoria «alta, fiera e vertiginosa», che induce a togliere di mezzo l’invadente Burattinaio del mondo e a cantargli il De profundis. Più che un ragionamento è un’opzione necessaria: l’uomo può essere libero solo impadronendosi della libertà sottratta al dio finalmente fatto fuori. Come dirà, nel solco di Nietzsche, Sartre:

«Se ho soppresso Dio padre, bisognerà che vi sia qualcuno per inventare i valori»

L’esistenzialismo è un umanismo, p. 89


Articolo tratto da Il cane di Zarathustra. Tutto Tutto Nietzsche per tutti (2013, Edizioni Ares), cap. Lo scrigno del nulla, di Gianfranco Morra (1930-2021).