VERSO IL VOTO. SOVRANISMO E GLOBALIZZAZIONE
Governi centrali immobili e gli amministratori locali scelgono modelli di sviluppo positivi RINASCITE ESEMPLARI Eindhoven, in difficoltà per la crisi della Philips, produce con il 4% della popolazione olandese il 37% dei brevetti e il 24% della ricerca del Paese
In tutte le democrazie occidentali, i disagi prodotti dalla globalizzazione stanno provocando risposte politiche estreme. Quella che caratterizza la politica italiana è il tentativo nostalgico di tornare indietro, alla ricerca del perduto controllo sulla sovranità attraverso confini nazionali meno aperti. Ma oltre alle risposte che “guardano indietro”, sono possibili anche risposte alla globalizzazione che guardano in avanti e che sono meno comuni nel confronto politico nazionale perché non sono centrate sugli Stati, bensì sullo sviluppo delle città e delle comunità urbane. La gestione delle grandi città è inevitabilmente pragmatica, orientata alla soluzione di problemi percepiti dalla cittadinanza, lontana dai richiami del sovranismo e spesso addirittura in contrasto con le autorità nazionali. Per le formazioni politiche che si appellano a un astratto sovranismo nazionale, l’esperienza nel governo delle realtà locali è particolarmente rivelatrice: la fuga all’indietro, il rimpianto del sovrano, corrisponde a un’incapacità di guardare avanti? Non è un caso che per il Movimento Cinque Stelle sia tanto importante confrontarsi con i dubbi sulle gestioni di Roma e Torino, così come per la Lega sia emerso un punto sensibile nel confronto tra il sovranista Salvini e il localista Maroni. Lo scontro tra politica nazionale e politica locale è comune a molte democrazie. Negli Stati Uniti, sindaci e amministratori locali si confrontano direttamente con sfide globali – l’integrazione degli immigrati, la transizione economica, il cambiamento del clima – dalle quali la politica federale si è ritirata o si muove in opposizione. La nuova retorica sovranista ha dato luogo a un’ondata di leggi sostenute da gruppi di opinione conservatori intese a frenare gli sforzi in alcune città di espandere la banda larga, alzare i salari minimi, disciplinare la shareeconomy, o governare gli organi di sicurezza. In risposta a questa tensione tra nazionalismo e localismo, in tutto il mondo si vedono sindaci che cambiano il modello delle politiche pubbliche. Un caso notevole è quello di Copenaghen dove, per non incidere sulla tassazione, lo sviluppo commerciale di ampie aree pubbliche è stato affidato a un management autonomo secondo criteri privatistici. Come in altre città scandinave, i proventi commerciali derivati anche dalla vendita di imprese locali vengono poi investiti in progetti di lungo termine, per migliorare la vita dei cittadini e la loro istruzione. Fenomeni simili si vedono negli Usa: a New York dove l’amministrazione incoraggia la diversificazione delle attività produttive, a Houston dove la nuova edilizia per gli immigrati sta facilitando la loro integrazione, a Miami dove si punta su nuovi legami commerciali col Brasile, a Denver e Los Angeles dove crescono quartieri con servizi alla frontiera tecnologica, a Boston e Detroit dove si punta sui distretti dell’innovazione che superano anche il raggio urbano. Tra i fenomeni più interessanti c’è la rinascita delle città industriali che stavano uscendo sconfitte dalla trasformazione industriale causata dalla globalizzazione. In aree settentrionali dell’Ohio, attraverso ricerca e investimento nei nuovi materiali, è in atto una riconversione di industrie che sembravano avviate all’estinzione. Un caso spesso citato è quello di Eindhoven, grazie anche ai fondi europei, la città olandese in crisi per la delocalizzazione degli impianti Phi lips ha riconvertito gli spazi urbani e industriali con l’applicazione estensiva di nuove tecnologie che accompagnano il cittadino nelle minime esigenze quotidiane. Con il 4% della popolazione olandese la città produce ora il 37% dei brevetti e il 24% della ricerca. Esperienze simili in Europa sono in corso a Malmö, Dresda e Oulu (Finlandia); e ad Akron, Albany, Raleigh, MinneapolisSt.Paul e Portland negli Usa. Sono i vecchi centri della “rustbelt “, gli impianti industriali arrugginiti, che si convertono in ” smart cities “. Alcuni colleghi di Brookings la definiscono una “rivoluzione metropolitana” che non avviene ad opera solo di funzionari eletti, ma di imprese, università, società mediche, sindacati, istituzioni culturali e filantropiche. Nel frattempo i governi centrali, a Roma come a Washington, sono sempre meno in grado di fornire sviluppo e benessere. In pratica oltre metà delle risorse nazionali sono destinate a programmi sociali determinati dai cambiamenti demografici delle società. Percentuali che aumenteranno con l’invecchiamento della popolazione. Negli Stati Uniti la spesa discrezionale a disposizione dell’Amministrazione è di circa il 1518% del bilancio, una quota che non è mai stata tanto bassa. La spesa federale per la ricerca è calata di un terzo in 12 anni. A livello nazionale la spesa sociale viene erogata con modelli che risalgono agli anni 50, ma le innovazioni vengono ostacolate perché soggette alla strutturale polarizzazione ideologica di Washington. Il distacco tra la capitale e le realtà locali è cresciuto dopo l’eliminazione nel 2011 delle voci di spesa locali dal bilancio federale che rappresentavano gran parte del lavoro dei senatori e dei deputati. Il risultato è che l’autorità centrale, il “sovrano rimpianto”, coincide con debito e consumi, mentre i centri urbani pensano a investire e integrare. La colorita presidenza Trump dà la falsa impressione di aver rimesso Washington al centro della politica, ma probabilmente alla fine del quadriennio si capirà ancor di più che il potere del centro è declinato rispetto a quello delle aree metropolitane dove si produce il 90% del reddito americano. Anche nella campagna elettorale italiana, il confronto dovrebbe essere tra realtà locali nella prospettiva globale anziché sulla sovranità nazionale. A chi sostiene che la politica ha bisogno di contenuti emotivi ed identitari che la retorica sovranista garantisce attraverso l’opposizione all’Europa e agli altri Paesi, si può solo consigliare di leggere qualcosa sul ruolo globale delle città italiane nel Rinascimento.
Il Sole 24 Ore – Carlo Bastasin – 23/01/2018 pg. 8.