Fëdor Dostoevskij

Le opere monumentali di Dostoevskij contengono un mare di lacrime, legioni di isteriche, un numero colossale di inutili chiacchiere davanti al tè e alla vodka, su Dio, il mondo, l’anima. I suoi eroi si divertono nel conversare, si auto-torturano con le parole e torturano gli altri. Infine, si succhiano il dito, fanno di una mosca un elefante. In Occidente si pensa che Dostoevskij abbia detto meglio di altri l’anima russa. In verità, isterici, lagnosi, urlanti, chiacchieroni, bestemmiatori sono un popolo speciale. Quello dei dostoevskjiani. Hanno poco in comune con i russi: semplicemente, vivono in città russe – San Pietroburgo, di solito – e camminano lungo la Neva. Dostoevskij è un non russo che vive a 16 metri al secondo: un vero mistero. Personalmente, amo le prime cento pagine di Delitto e castigo. Le amo moltissimo. Oltre, purtroppo, è solo putrefazione di lamenti, bava e moccio al naso.

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Julius Evola

Negli anni Sessanta diventò una moda. Giovani pellegrini intimoriti – intellettuali, membri della destra radicale – andavano nel suo appartamento romano. Un’udienza con il papa del tradizionalismo. Come se i marxisti potessero, tremanti dall’eccitazione, andare a udienza da Karl Marx. Il vecchio aristocratico parlava coi giovani e faceva affari. Faceva il giro dell’appartamento, pranzava davanti a loro. Il maggiordomo con un grembiule a brandelli gli porgeva brodo di pollo, che lui sorbiva bevendo vino rosso. Probabilmente, scioccava con gusto lascivo gli uditori. Il barone era prepotente, sempre, anche quando dipingeva quadri dadaisti. Gli aristocratici, d’altronde, sono spesso teppisti. Evola, vecchio sgarbato, rosicchiava il pollo, lanciava le ossa per la casa. Il razzista, misogino, aristocratico Evola è il punto di equilibrio ideologico tra socialismo e marxismo.

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Mao

Negli ultimi decenni della sua vita, Mao non gareggiò più con Marx e Stalin ma con Confucio e Qin Shi Huang. Nato nel 1893, nella Cina imperiale, quando le gambe delle ragazze erano fasciate, morì nel 1976, quando la Cina disponeva di armi nucleari. Quando è nato, la Cina contava 400 milioni di abitanti, morì che erano oltre un miliardo. Mao ha fatto per il suo paese più di tutti gli imperatori cinesi messi assieme. Ma Confucio, che ha posto le basi morali della società cinese, vince ancora. La base del confucianesimo è la venerazione della famiglia e il culto degli antenati. Mao voleva sostituire questo culto con il culto della Cina. Non ci è completamente riuscito. Anche i cinesi moderni si attaccano alla famiglia come le api: che siano oltre un miliardo è colpa del vecchio Confucio. Che siano ancora famelici e ben nutriti è merito del vecchio, astuto imperatore contadino – quel grassone di Mao.

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Louis-Ferdinand Céline

Magro, sfigurato dalla Prima guerra, dove gareggiò volontario, malato bilioso, cupo scrittore pessimista, il dottor Céline odiava così tanto la bella Francia, il suo ordine, quello stato di funzionari e di smidollati, che fu tentato dai tedeschi, alieni, biondi, formicolanti, furoncolosi, che apparvero all’improvviso in terra francese. Tuttavia, capì presto che dai tedeschi non poteva giungere alcuna salvezza. Nel romanzo Da un castello all’altro, in un monologo immane, ridicolizza la fine della guerra. Nel castello di Sigmaringen si nascondono il maresciallo Petain, Laval, i tedeschi – li descrive in toni sprezzanti e sarcastici. Céline nasce nel 1932, con l’ormai iconico Viaggio al termine della notte. Una bomba, la visione del mondo reale nello sguardo di un anarchico di destra, feroce… Per il mio amico Alain Bastier, un insegnante dai baffi piuttosto folti, Céline è un dio. Ha tutto di lui. In effetti, Céline ha rivoluzionato la letteratura francese, ha introdotto in essa un nuovo eroe: il nichilista selvaggio, che parla la lingua di fango della strada… Céline è un dio per i cittadini incazzati, per chi vive sulla strada, per gli ipocondriaci, per i giovani incupiti dal tempo, per chi ha una vita privata infelice. Céline avrà sempre lettori. Decine di milioni di lettori. Dottore dei poveri, Céline riposa in pace nel cimitero di Meudon. I diseredati hanno sempre lettori. Andò in Unione Sovietica per partecipare a un congresso di scrittori. L’Unione Sovietica non gli piacque. Nessuno può ingannare Céline. Nessun sistema politico poteva sedarlo.

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Pier Paolo Pasolini

Non gli ho dato attenzione finché in un piccolo cinema, nel Boulevard Sebastopol, nel 1981, non ho visto Salò, o le 120 giornate di Sodoma. Mi piacque. C’erano pochi spettatori, la sala era piccola. Alcuni arabi avevano scambiato quel posto per un cinema porno. Durante l’episodio dei prigionieri che mangiano i loro escrementi su piatti lussuosi, metà pubblico ha lasciato la sala. Alla luce del sole, mi sono maledetto per non aver prestato attenzione prima a Pasolini. Ho scoperto che è stato ucciso da un giovane amante adolescente su una spiaggia di Ostia, nel 1975. Mi sono ricordato che ero in quel posto, nel novembre del 1974, insieme a Lena Kozlova, in quella brutta e polverosa Ostia, per affittare un appartamento economico. Ai quei tempi abitavo vicino alla stazione Termini, pagavo un affitto assurdo per una stanza lurida, dove, insieme a noi, vivevano tredici migranti, tra cui tre etiopi che lavoravano in un caseificio.

Noto omosessuale, regista di film scandalosi, molti dei quali condannati dalla chiesa, celebre giornalista, eccellente poeta: e tutto questo insieme. Pasolini ha avuto il dono di concentrare su di sé l’antipatia di una società intera. Era un simbolo, una specie di demone per l’estrema destra: comunista, checca, poeta immorale. Incitava all’odio. Pasolini era basso, dalla faccia scura, scavata, i muscoli lignei. Profondamente celato oltre le orbite degli occhi. Era come la radice bruciata di un albero possente. In ogni fotografia appare così: forza collerica, pressata, ridotta per quell’istante a una molla. Sembra incredibile che una persona del genere possa essere uccisa. Tutto ciò che toccava, funzionava – era originale in tutto. Mishima compie il suo gesto geniale e inutile nel 1970; Pasolini muore nel 1975; Jean Genet ci lascia nel 1986, senza contaminarsi coi francesismi, coi francesi. I geni hanno abbandonato il mondo moderno. Pasolini è un genio indiscusso. Ogni ruga incisa sulla sua fronte lo dimostra. Pasolini morì al vertice, poco dopo aver terminato Salò. È stato probabilmente il più potente artista contemporaneo. Pasolini ha evocato un cieco odio contro di sé: comunista, frocio, polemista. La sua tragedia personale sta nei gradi satanici, nella lava energetica. Il fuoco è divampato dentro e intorno a lui, gli ha fatto esplodere la faccia.

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John Lennon

Ricordo che lo hanno ammazzato, ero a Parigi, me lo ha detto la mia ex moglie, che stava a Roma. “Dormi? Alzati, John Lennon è stato ucciso!”. “Non mi interessa”, le ho detto. “Una generazione ha perso il suo leader”, fa lei. Mi sono incazzato. “Odio i Beatles, avidi adolescenti di Liverpool, assatanati di soldi. L’hanno ucciso? Meglio per lui, gli hanno evitato una vile vecchiaia. Sia lode al ragazzo che l’ha ammazzato”. “Sei malvagio, Limonov. Malvagio e invidioso”, disse Elena. Riattaccò. Era dicembre, il 1980.

La storia dei Beatles è volgare. In effetti, rappresentano la formula media che il mondo dello spettacolo ha scelto di estrarre dalla mediocrità. Una formula sicura. Ragazze sorridenti, adorabile voce dolce, bambocci lavoratori sul palco. Il quartetto vocale cinguetta, si diverte, scuote soffici frangette, si inchina, produce suoni e moti in una gamma media. Non sono mai stati isterici o estatici. Mediocrità è il loro idolo. Non mi sono mai unito alla folla esultante per i Beatles. Quando sono apparsi i Sex Pistols e i Clash mi sono detto: questa è la mia musica. I Beatles avevano tutto. Il loro è un mondo di colori allegri: blu e rosa come la cameretta di un bambino ricco. Ecco perché sono per Chapman, contro John. La sua donna giapponese è una vecchia flaccida e stupida, ancora più disgustosa di John, dal naso piatto.

“C’è solo una classe che pensa al denaro più dei ricchi: i poveri”, ha detto Oscar Wilde. I ragazzini avidi di Liverpool, i sopravvissuti, hanno avuto mogli, figli, seguaci. Discepoli senza talento cantano senza talento rilasciando interviste senza talento. Si sono impossessati di noi. Sono davvero degli insetti.

Eduard Limonov

*I brani sono estratti da “Mostri sacri”, 2003, libro ancora inedito in Italia, dove Limonov passa in rassegna i propri miti, difformi, dispari, disastrosi. “Tutte le personalità di culto che ho raccolto, secondo il mio capriccio e la mia rabbia, in questo libro sono unite non tanto da una adorazione violenta da parte delle folle. Hanno, tutti, una frenesia nell’anima, una ferocia che ha permesso a ciascuno di concorrere verso la logica fine del suo destino. Questo non è un libro per laici, ma per bimbi rari e strani, che a volte nascono dai normali. Per incoraggiarli: guarda chi sono i mostri sacri, puoi essere come loro. La maggior parte della popolazione mondiale, purtroppo, vive come un vegetale, in coma”. Tra il 2022 e il 2024 l’editore Sandro Teti pubblicherà cinque opere di Eduard Limonov, tra cui Il poeta russo preferisce i grandi negriLa mia biografia politica e le poesie.