Le toghe rosse alla riconquista dell’autonomia, ma senza sconti

«Affrontare la bufera, senza sottrarsi alla critica e all’autocritica». Magistratura democratica, che apre oggi a Firenze il suo ventitreesimo congresso, non mette la testa sotto la sabbia: la questione morale fra le toghe italiane c’è, e non si può semplicemente aspettare che «passi la nuttata». La segretaria generale Mariarosaria Guglielmi, nella relazione introduttiva già resa nota nei giorni scorsi, lo riconosce apertamente: il caso Palamara ha svelato degenerazioni pericolose come la nascita di potentati interni alla corporazione e «zone d’ombra e d’incontro con poteri esterni», che nulla hanno a che fare con un fisiologico rapporto di dialogo alla luce del sole con le rappresentanze politiche. Da questa netta presa di coscienza occorre ripartire, secondo Md, per «un rinnovamento etico e culturale» che deve essere «profondo e duraturo».

Nessuna difesa corporativa e nessuno scudo dietro la teoria consolatoria delle poche mele marce. Solo così, ragiona Guglielmi, è possibile difendere credibilmente «i valori dell’autogoverno, dell’associazionismo e del pluralismo», minacciati da chi oggi vorrebbe buttare via insieme all’acqua sporca delle liaisons improprie con il potere politico anche il bambino dell’autonomia della magistratura. Il campanello d’allarme suona forte nelle parole della segretaria delle toghe progressiste: «Oggi, come da mesi, ai cittadini di questo paese si parla di una magistratura guidata da una cupola; che istruisce processi e apre indagini per fini strumentali, se non criminali; che si riunisce in gruppi e in una associazione da sciogliere e da vietare come anomalie della democrazia. Siamo tornati, nel volgere di pochi giorni, al clima e ai metodi della più recente stagione di imperante populismo: alla contrapposizione fra volontà del popolo e giudici-nemici del popolo, fra interesse dei cittadini e privilegi della corporazione; ai giudici che se vogliono interpretare le leggi devono farsi eleggere. È un argine che sta cedendo sotto il peso di questi attacchi ripetuti. È l’argine che in democrazia protegge le istituzioni dalle pericolose delegittimazioni».

Per Guglielmi il modo migliore per contrastare chi vorrebbe adeguare l’Italia agli standard dell’Ungheria di Orbán o della Turchia di Erdogan è fare i compiti a casa, promuovendo un’idea di magistratura diversa da quella del carrierismo e del collateralismo politico opaco. Tradotto nell’azione associativa, per Md questo significa un recupero di piena autonomia rispetto ad Area, nata come cartello dei due gruppi progressisti (l’altro è il Movimento per la giustizia) e trasformatasi poi in una vera e propria nuova corrente, nella quale alcuni ritenevano che Md dovesse sciogliersi. La storia più recente parla di tensioni e difficoltà sempre maggiori – e spesso indecifrabili all’esterno – fra Md ed Area, sino alla fuoriuscita, lo scorso dicembre, di una trentina di esponenti di Md critici nei confronti di Guglielmi e del presidente Riccardo De Vito, giudicati ostili nei confronti del progetto di Area. Le assise che si aprono oggi sanciranno anche formalmente quello che nei fatti è già avvenuto: Area non è più «un gruppo di gruppi» nel quale agisce anche Md, perché quest’ultima riacquista piena «sovranità» dopo avere registrato il fallimento del tentativo unitario.

Dietro questa scelta, che porta a maturazione un disagio che serpeggiava già nel precedente congresso, c’è la spinta molto forte della sinistra interna attorno al presidente De Vito, che in una mozione punta il dito contro la scelta fatta in passato di «annacquare la voce critica del nostro gruppo in giunte di governo dell’Anm» insieme a quel Palamara che «oggi troppi fanno finta di non conoscere». Differenze di accenti fra le diverse anime delle toghe rosse, ma sostanziale comunanza di vedute sulla via di uscita: la riconquista dell’autonomia di Md e un’agenda che impegni la corrente per «tornare a una magistratura orizzontale» contro «il mito della dirigenza» e contro «la gerarchizzazione delle procure». Se il capo dell’ufficio requirente fosse semplicemente un primus inter pares diminuirebbero le attenzioni poco commendevoli, anche del mondo politico, nei confronti delle nomine a quel ruolo. Come fu nel caso della guida della procura di Roma oggetto dei colloqui di Palamara, Luca Lotti e compagnia, nell’ormai famigerato Hotel Champagne.
Nel programma del congresso, che si potrà seguire sul sito di Radio Radicale, due tavole rotonde sulle riforme in cantiere, con docenti universitari e avvocati, un focus sull’Europa e uno sul rapporto fra giustizia ed etica. Questa mattina, in apertura, lezione magistrale di Luigi Ferrajoli, nume tutelare di Md, sul ruolo dei giudici nella costruzione della democrazia.

 

 

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