LE PAROLE NON BASTANO.

Il proposito manifestato da Graziano Delrio di impugnare tutte le maleodoranti leggine regionali che nascondono condoni edilizi più o meno mascherati è senza dubbio alcuno coraggioso. Ma in un’Italia nella quale lo sport nazionale praticato dai politici, sia pure con qualche lodevole eccezione, è quello di ammiccare all’abusivismo, il rischio che questo proposito enunciato dal ministro delle Infrastrutture possa incontrare ostacoli insormontabili è davvero consistente. Va riconosciuto che un segnale positivo è comunque arrivato dal governo di Paolo Gentiloni con la decisione di bloccare la legge della Campania che di fatto avrebbe ostacolato le demolizioni: e riusciamo appena a immaginare i mal di pancia nella maggioranza, soltanto ricordando che quella Regione è oggi governata da un renziano a quattro ruote motrici qual è Vincenzo De Luca. L’inchiesta di Repubblica sul Paese degli abusi ha svelato il nuovo volto del condono made in Italy, sparito dai radar nazionali per riparare comodamente, sotto molteplici forme in qualche caso ben più subdole perché mascherate, nelle pieghe delle leggi regionali. Sanatorie spuntate con la motivazione tanto encomiabile quanto velenosa di “evitare il consumo del suolo”. Mentre si afferma con provvedimenti votati dagli eletti nei consigli regionali il folle principio dell’abuso “per necessità”, come se fosse necessario per risolvere un personale problema di alloggio tirare su una palazzina alla faccia di qualunque regola e del rispetto dell’ambiente.
La nostra inchiesta ha pure documentato come il rapporto fra la politica e certa burocrazia ottusa o corrotta da una parte, e l’illegalità ambientale dall’altra, sia più solido che nel passato. E chi non si adegua paga a caro prezzo. Non è servita la lezione delle sanatorie che hanno legalizzato il massacro del nostro territorio e dei nostri conti pubblici, considerando la vergognosa sproporzione fra i magri incassi dei condoni e la valanga di denari pubblici spesi per dare servizi agli abusivi. Né è servito, ciò che appare decisamente più grave, il sacrificio di chi come il sindaco di Pollica Angelo Vassallo ha perso la vita per contrastare uno scempio che spesso porta il marchio della criminalità organizzata.
Dice tutto, a proposito del ruolo di certa politica in questo sporco affare, la sconcertante vicenda del sindaco di Licata, sfiduciato dal consiglio comunale per aver deciso di abbattere le costruzioni abusive. Angelo Cambiano ha raccontato alla nostra Alessandra Ziniti di aver ricevuto la visita del ministro degli Esteri Angelino Alfano, siciliano, che gli ha pubblicamente manifestato tutta la propria solidarietà, incitandolo a proseguire nell’azione di recupero della legalità. Ma quando si è poi passati dalle parole ai fatti, i consiglieri del partito Alternativa popolare del quale Alfano è il leader, sono stati in prima linea nel chiedere la sua testa e farlo così cadere. Dettaglio non irrilevante rivelato da Cambiano, ben sette esponenti di quella parte di assemblea comunale che lo ha sfiduciato si trovavano in conclamato conflitto d’interessi: essendo abusivi loro medesimi. Adesso che il sindaco è stato tolto di mezzo, e con lui le ruspe, di certo dormiranno sonni più tranquilli. Ma l’ipocrisia che trasuda da tale inqualificabile storia è insopportabile. Per questo un simile sfregio alla legalità e all’onestà tira in ballo anche la responsabilità oggettiva del capo di quel partito. E c’è solo un modo per riparare. Se le cose stanno come ha denunciato Cambiano, sarebbe ora doverosa da parte di Alfano non soltanto una pubblica presa di distanza pubblica da quei consiglieri, ma anche l’applicazione nei loro confronti della sanzione politica estrema. Da parte nostra possiamo assicurare che non faremo mancare il sostegno a ogni pubblico amministratore impegnato nella lotta agli abusi. La consideriamo una battaglia di civiltà irrinunciabile per un Paese troppo a lungo stuprato con la complice indifferenza di una classe dirigente spesso inadeguata e collusa.
La Repubblica –