L’AMBIENTE E IL DNA PERDUTO DEL PD.

SERGIO RIZZO
Quello che accadrà adesso l’abbiamo già visto in troppe occasioni. Le polemiche politiche, le discussioni sulle cause e le responsabilità, il cordoglio per le vittime fra infiniti battibecchi. Soltanto parole, con l’eccezione (ipotizziamo) dei pochi denari che verranno stanziati per riparare i danni. Pare incredibile che catastrofi come quella di Livorno, che si ripetono con una frequenza ormai così impressionante da aver generato quasi assuefazione, non abbiano finora imposto una virata decisa alla politica italiana. Ieri l’ha sottolineato implicitamente anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Per lui «questa ennesima calamità dovrà sollecitare al più presto nel mondo politico una riflessione seria e approfondita sugli effetti dei cambiamenti climatici e su come difendere efficacemente il nostro territorio ».
Ma ancora più incredibile è che la virata non si sia verificata neppure a sinistra. Walter Veltroni ha scritto su queste colonne che «oggi la sinistra non può dirsi tale se non è ambientalista ».
Il fondatore del Pd ha ricordato a questo proposito la svolta di Donald Trump che ha cancellato tutti gli impegni sulla riduzione dei gas serra della precedente amministrazione democratica di Barack Obama. Sottolineando con amarezza come il Partito democratico abbia smarrito l’impronta ecologista che doveva essere parte integrante del suo dna.
Proprio qui sta il punto. Se esiste in questa fase storica un discrimine radicale nelle dinamiche planetarie fra la destra e la sinistra (al netto di qualche timido distinguo nella destra), è proprio nel diverso approccio al rapporto fra l’uomo e la natura: dai gas serra, ai cambiamenti climatici, alle politiche energetiche, allo sfruttamento dei combustibili fossili, al consumo del suolo. Come i democratici negli Stati Uniti, non c’è in Europa occidentale un partito della sinistra che non sia impegnato sul terreno della difesa ambientale: per ragioni oggettive, che hanno a che fare con il tentativo di imboccare la strada dello sviluppo sostenibile alla ricerca del miglior compromesso fra l’uomo e la natura.
Sulla carta lo è anche il Pd, ma la verità è che proprio sul fronte ambientale sta mostrando da tempo considerevoli ambiguità. Suoi esponenti locali sostengono leggi regionali che non agevolano certo la lotta all’abusivismo edilizio, al punto da venire impugnate dal governo nazionale guidato dallo stesso partito. E i medesimi parlamentari che hanno con fatica e impegno approvato norme sacrosante come quelle sulla concessione degli ecobonus e sull’introduzione degli ecoreati nel codice penale, occhieggiano invece al tempo stesso (insieme a rappresentanti della destra) a provvedimenti sconci che rilanciano condoni mascherati. Nell’illusione, magari, di incrementare futuri consensi. Mentre i propositi di una lotta concreta al dissesto idrogeologico rimangono tali e una legge importante per la difesa del paesaggio come quella che per la prima volta si propone di limitare il consumo del suolo giace impantanata nel Palazzo: senza che nessuno a sinistra si faccia carico di darle una spintarella per farla uscire dalle sabbie mobili. Per non parlare della politica energetica, confinata a qualche slogan di circostanza. Spesso e volentieri, unicamente quando si devono rintuzzare le uscite del Movimento 5 stelle: il solo concorrente in questo campo.
Assorbito dalla pura gestione del consenso, il partito di Matteo Renzi sembra agire solo in funzione di questo obiettivo. Mostrandosi nei fatti disinteressato a una questione cruciale per il futuro nostro e dei nostri figli, come una seria politica ambientale. Un segnale di questa deriva è anche il peso specifico sempre più esiguo che ha ormai nel partito la componente cosiddetta eco-dem, riflesso in una sparuta pattuglia parlamentare. La battaglia in difesa dell’ambiente, pressoché scomparsa dai radar nazionali democratici, rimane quindi affidata a certi loro coraggiosi amministratori locali che combattono sul territorio gli abusi e le speculazioni rischiando talvolta l’incolumità fisica: e per fortuna ce ne sono.
Fra sei mesi o giù di lì saremo chiamati a scegliere i nostri rappresentanti nelle Camere per dare all’Italia un governo. E non dovremo valutare soltanto i candidati o le alleanze (che in vista delle prossime elezioni siciliane già assorbono tutte le energie fisiche e mentali della nostra politica) ma anche e soprattutto i programmi. Sarà quello il vero banco di prova per capire se la sinistra vuole davvero cambiare rotta. E recuperare quel pezzo così importante ora mancante nel suo dna.
Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/