Inaugurato il nuovo San Giorgio: realizzato da 1000 operai in 476 giorni. Cerimonia sobria. Il premier: «Ricomposto ciò che è stato spezzato»
Genova. La prima macchina a transitare è quella di Mattarella. Nessuno e nulla è dimenticato, nel giorno dell’inaugurazione del nuovo ponte di Genova. Sono le vittime della tragedia del 14 agosto 2018, il loro ricordo, la loro memoria a fare da trait d’union di tutte le fasi di questa inaugurazione. Il nuovo ponte è pronto e tra poche ore sarà aperto al traffico.
I 43 nomi vengono scanditi e il presidente della Repubblica è in piedi, durante la lettura del tragico elenco e nei successivi tre minuti di silenzio. Come è stato ai funerali di Stato, come alla celebrazione del primo anno della tragedia. Anche l’arcobaleno appare in cielo in una simbolica, inattesa coincidenza di eventi, e l’iride si mescola alle scie delle Frecce Tricolori. C’è tutto il mondo politico della città, della Regione, dell’Italia, sulle carreggiate del nuovo ponte di Genova. La celebrazione di un’opera straordinaria, qui, sulla carreggiata a 40 metri d’altezza, sorretta da 18 piloni. La celebrazione del «genio italiano» (lo ribadisce, il premier Giuseppe Conte): il progetto di Renzo Piano, le grandi aziende che l’hanno realizzato, i quasi 1.200 lavoratori impegnati in un cantiere che non ha mai riposato.
C’è un convitato di pietra. Un’assenza, quella di Autostrade per l’Italia, che non assorbe l’impatto delle polemiche degli ultimi giorni. Nessun invito per Aspi è mai partito dalla struttura commissariale. Il sindaco-commissario Marco Bucci non l’ha mai rivolto: «Non ci saranno». Eppure è proprio ad Autostrade che il nuovo viadotto sarà consegnato e di nuovo il Comitato delle vittime è tornato a denunciare: «È una cosa che fa male, anche se a questo punto non si poteva che far così».
Qualcuno ha derogato alla posizione ufficiale del Comitato, quella di non partecipare alla cerimonia, e ha deciso di esserci lo stesso. Come Emmanuel Diaz, il fratello di una delle vittime, precipitata giù dal ponte con la sua Opel Corsa gialla, s’indigna ancora: «Si riconsegna il ponte ad Aspi, a chi ha assassinato Henry».
Però l’ultimo atto ufficiale è stato firmato. La decorrenza: le sei del pomeriggio di oggi. Ma il cronoprogramma di una complicata burocrazia prevede un ulteriore sopralluogo prima del via libera definitivo, circostanza che colloca l’apertura del ponte con probabilità alle prime ore di domani.
Giuseppe Conte non ha dubbi: «Il nostro obiettivo è stato sempre quello di tutelare l’interesse pubblico che non è stato garantito dalla struttura regolativa della precedente concessione». Aspi continua a rimanere nel mirino. Mattarella, con le vittime, ribadisce la richiesta di giustizia: «Le responsabilità non sono generiche, hanno sempre un nome e un cognome. Sono sempre frutto di azioni che dovevano essere fatte o di omissioni».
Ma il dossier è complicato. C’è Danilo Toninelli, l’ex ministro Cinquestelle dei Trasporti, a rivolgersi a chi gli è succeduto: «Io chiedo alla De Micheli un’accelerazione. Perché dopo tanti impegni non si corra il rischio che tra due, tre mesi questo viadotto sia ancora nelle mani dei Benetton». Poi, sotto il grande tendone che ospita la cerimonia, parla a lungo con la nuova titolare delle Infrastrutture, dopo il classico saluto col contatto dei gomiti. Gli esponenti del Movimento lo attorniano, lo accolgono come un ritrovato leader.
Dopo 720 giorni dal crollo del ponte Morandi e 476 dall’inizio della ricostruzione, sul nuovo viadotto di Genova ci sono tutti. Le orecchie tese, ad ascoltare la nuova versione di Crêuza de mä di Fabrizio De Andrè che fa da ideale sigla della cerimonia. Il presidente del Consiglio, la presidente del Senato Casellati, quello della Camera Fico, la presidente della Corte costituzione Cartabia, i ministri Di Maio e De Micheli., l’ex titolare dela Difesa Roberta Pinotti. Ancora, il cardinale Angelo Bagnasco, l’attuale arcivescovo di Genova, don Marco Tasca, il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e il capo della Polizia, Franco Gabrielli. Insiste il premier: «Oggi Genova riparte forte della sua operosità, come ha fatto in tanti momenti della sua storia, confidando nella forza del lavoro. Mostra un Paese che, a dispetto degli stereotipi, sa rialzarsi, che sa tornare a correre». Le strette di mano sono tutte per Marco Bucci, il commissario che ha fatto l’impresa. A lungo conversa con l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono e con l’ad di Webuild Pietro Salini. Dice Bucci: «Il primo pensiero va alle 43 vittime del crollo del ponte Morandi e alle loro famiglie, il secondo ai cittadini di Genova che hanno sofferto, il terzo a tutti coloro che hanno lavorato 24 ore su 24 alla ricostruzione superando problemi enormi, persino un commissario che gridava».
Il presidente della Regione Giovanni Toti, che è stato commissario per l’emergenza, sintetizza così le parole d’ordine della giornata: «La prima è: mai più. La seconda: sempre così». Poi c’è Renzo Piano. Là sotto, in basso, c’è «il cantiere più bello di tutta la mia carriera. Nessuno si è mai lamentato, tutti hanno lavorato con il massimo impegno». Ma il concetto ribadito più volte negli ultimi giorni non dimentica la genesi terribile di quest’opera: «Costruire un ponte è un gesto di pace. Io auguro a questo ponte di essere amato, adottato, non è facile essere erede di una tragedia. Vorrei che questo ponte fosse visto come costruito in acciaio e forgiato nel vento. Tutto qua, adesso il ponte è vostro».
Quando sfilano i caschetti colorati, quando arrivano i rappresentanti delle maestranze che hanno costruito il viadotto, si intuisce il senso più profondo di questo pomeriggio. L’equilibrio tra orgoglio e dolore, per la ricostruzione e il ricordo delle vittime. Sono emozionati: «Abbiamo lavorato sempre, senza distrazione. Abbiamo sconfitto il Covid, non ci siamo fermati. Solo ora cominciamo a renderci conto di ciò che abbiamo realizzato».
Mattarella non stringe mani, in stretta osservanza delle regole anti Coronavirus. Ma lascia il suo autografo sui caschi da lavoro. Osserva l’atto finale: il premier Conte, insieme a Bucci e Toti, taglia il nastro. Genova ha di nuovo il suo ponte. I suoi traffici, la sua logistica, il suo turismo, l’economia del porto. La spina dorsale di una città ma anche di tutto il Nord Ovest. In basso sta sorgendo il giardino dei ricordi: 43 alberi, uno per ogni vittima.