È un destino bizzarro quello che lega Luca Palamara e Cosimo Ferri dal 9 maggio scorso, quello in cui furono entrambi intercettati nell’hotel Champagne di Roma, mentre discutevano, alla presenza di Luca Lotti e altri 5 consiglieri del Csm, della futura nomina della Procura di Roma. Finiti entrambi sotto processo disciplinare hanno entrambi tentato di ricusare dei giudici. Operazione in parte riuscita per Ferri – sulla sua richiesta, ha stabilito il Csm, dovranno pronunciarsi le Sezioni Unite della Cassazione – e invece fallita per Palamara con Piercamillo Davigo che è rimasto al suo posto.

E se Ferri “rischia” di vedere rimandato a chissà quando il suo processo, Palamara incassa l’ennesima (siamo a quota 5) incolpazione disciplinare. Questa volta è accusato di aver “violato consapevolmente l’obbligo di astensione nel procedimento disciplinare instaurato a carico del magistrato Mara Mattioli”. Palamara era infatti un membro del Collegio della sezione disciplinare che il 21 giugno 2018 si occupò di Mattioli. Tra il 2017 e il 2018, si legge nell’accusa, Palamara ne aveva caldeggiato la nomina per un posto di magistrato segretario presso il Csm chiedendo al suo collega di Unicost Massimo Forciniti, anch’egli membro del Csm, di “tutelarla” durante l’audizione. “Nonostante tale intensità di rapporti”, si legge negli atti, “Palamara partecipava – violando l’obbligo di astensione – alla decisione” in sede disciplinare che “commentava il giorno dopo con Forciniti: “Mattioli è andata male purtroppo”. Per quanto riguarda Ferri, anch’egli accusato di aver interferito nell’attività del Csm, il suo processo è stato sospeso: le Sezioni Unite Civili della Cassazione dovranno pronunciarsi sull’istanza di ricusazione contro due giudici disciplinari (i laici Stefano Cavanna e Michele Cerabona) che il Csm non è in grado di sostituire. Ha così investito la Cassazione anche per “scongiurare il rischio della paralisi del funzionamento di un organo di rilevanza costituzionale”.