La Pira, Fabiani e noi

la visione politica che manca

 

Franco Camarlinghi

 

Era il pomeriggio di venerdì 15 febbraio 1974: il corteo funebre partì da via Alamanni, preceduto da una grande foto di Mario Fabiani, per raggiungere piazza della Signoria. Il 7 novembre 1977 il rettore dell’Università di Firenze dette l’ultimo saluto a Giorgio La Pira, in piazza San Marco: da lì il corteo funebre si avviò verso Palazzo Vecchio. Non è facile raccontare ai giovani d’oggi cosa significarono per Firenze quelle due giornate di lutto e quanto appassionata, inaspettata, impressionante fu la partecipazione popolare. La moltitudine di persone cresceva ad ogni passo dei cortei; non una saracinesca di negozio restava alzata, nel silenzio devoto delle strade, della gente di ogni sentimento politico e di ogni estrazione sociale che dava l’ultimo saluto ai due sindaci di Firenze. Nei giorni in cui ricorrono i 70 anni della prima elezione di La Pira a sindaco di Firenze, ho voluto ricordare quei momenti così simili nell’emozione popolare verso due protagonisti tanto diversi e che proprio nel 1951 si erano sfidati per la conquista di Palazzo Vecchio. Erano i tempi della guerra fredda, dello scontro fra le grandi potenze e fra ideologie incompatibili, ma anche di sforzi comuni per ricostruire l’Italia. La Pira vinse la sfida con Fabiani e il suo partito, quel Pci che sarebbe tornato al governo di Firenze solo dopo 25 anni.

Non è questo lo spazio dove ricostruire l’esperienza di La Pira sia nella sua città d’elezione, sia sul piano nazionale e su quello internazionale.

Basti ricordare che nessun’altra personalità nella Firenze del dopoguerra è mai stata riconosciuta universalmente come il Sindaco santo. Viene naturale di considerare quanto fondamentale fosse dal dopoguerra fino a qualche tempo fa la figura di un sindaco e quanto questo venisse riconosciuto dall’opinione popolare, indipendentemente dalle appartenenze politiche. La Pira ne è l’esempio più chiaro: per fare il sindaco della Città sul Monte era pronto a rinunziare a ogni altro incarico, a ogni altro ruolo, ma, altrove, come lui, anche altre grandi personalità. La Pira era e rimane difficilmente paragonabile a qualsiasi altro esponente politico, eppure gli avversari non gli mancarono (anche quelli interni alla Dc che infine sarebbero stati per lui decisivi). Erano però avversari forti, perché forti erano le personalità che intendevano partecipare alla vita pubblica e che aspiravano a ruoli di responsabilità: e questo lo si poteva dire di ogni parte o area politica o culturale.

Chi ha vissuto le esperienze politiche di qualche tempo addietro, ha in mente tanti nomi che in un modo o nell’altro hanno lasciato un segno nel discorso pubblico fiorentino. Oggi è grassa se molti si ricordano il nome di un sindaco o di un presidente della Regione: per il contorno di assessori o quant’altro, se eletti, bisogna andare a cercare chi ne ha scritto il nome sulla scheda: può darsi se lo ricordi. Non c’è da meravigliarsi più di tanto se i cosiddetti partiti di oggi hanno difficoltà, talora al limite del ridicolo, nel trovare candidati significativi per governare città e regioni. Certo, una parte della questione è determinata dai pericoli giudiziari, ma non è questo il problema principale. La Pira di diritto se ne intendeva, ma non esitava a correre un rischio dopo l’altro, pur di adempiere al compito che sentiva come il suo principale: dare risposta alle necessità più urgenti per chi aveva bisogno. Lui e come lui tanti altri volevano governare perché l’ideale che li muoveva richiedeva l’impegno civile massimo che ciascuno poteva dare. Questo trovava conforto nell’esistenza di partiti in cui si discuteva e si lottava, anche per il potere, naturalmente, ma con visioni proprie e originali. Trovava sostegno in giornali, riviste, centri di cultura e di dibattito che davano possibilità di non sentirsi solo a chi volesse dare sé stesso alla vita pubblica. Ora ci sono i social, formidabili canali di collegamento e informazione individuale e collettiva che sembrano consacrati alla diffusione del niente (nel migliore dei casi, s’intende!). Non esiste più la possibilità di una formazione di classi dirigenti che trovino spazi di confronto in nome di valori e di competenze: nessuno se ne cura, se non quando si arriva vicino alle elezioni. Ma i La Pira o altri a lui anche lontanamente simili non si trovano e i leader attuali, in gran parte, non saprebbero neanche cercarli e perché cercarli.

 

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