La Natura della cultura: New European Bauhaus

di Maurizio Porro

 

Attenzione alla nuova sigla Neb, New European Bauhaus, varata il 18 gennaio. È un progetto culturale e una nuova casa per costruire — come quella fondata da Walter Gropius a Weimar tra le due guerre — un ponte tra il mondo della scienza e della tecnologia e quello dell’arte e dell’umanesimo: un Movimento (con la M maiuscola) e un Manifesto (con la M maiuscola).

Scienza e arti: cioè le due culture, come nel 1959 intitolò un famoso saggio sir Charles P. Snow che fu non solo di moda ma anche necessario. Sarà, quella che nasce nelle nobili ambizioni di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, una Bauhaus con molte stanze, anfratti, ponti e corridoi per lavorare insieme, se possibile appassionatamente, a un cambiamento culturale che abbia stampati al neon tre parole: beautiful, sustainable, together.

La cosa importante per noi è la presenza del Piccolo Teatro di Milano, l’unico teatro europeo a essere scelto come partner della New European Bauhaus. Si accompagna a istituzioni interdisciplinari (sono 27 finora le adesioni italiane, più di duecento quelle totali), come la Triennale, che ha un teatro ma soprattutto è chiamata per la sua missione nell’architettura, nella grafica, nel design. Grazie quindi al primo stabile italiano fondato nel 1947 da Paolo Grassi e Giorgio Strehler (del quale il 14 agosto s’è giusto celebrato il centenario dalla nascita), prosegue l’impulso del Piccolo che già nel 1991 diventò Théâtre d’Europe. Tecnicamente, la domanda d’ammissione è stata inoltrata dal direttore Claudio Longhi che, fin dal suo insediamento il 1° dicembre scorso, non a caso, ha enunciato tre principi, ribaditi nella stagione estiva al Chiostro di via Rovello (una premessa che lo rende ora interlocutore privilegiato, impegnando anche il futuro del teatro): 1) riconnettersi con la Natura; 2) ritrovare un senso di comunità e rinnovata appartenenza; 3) riequilibrare e redistribuire in modo equo le risorse.

Claudio Longhi, 55 anni, ha concesso a «la Lettura» un’intervista che ha voluto cominciare così: «Il Neb è un programma ambizioso, con una piattaforma web e la promozione di attività diffuse, per dare vita all’incontro di individui e istituzioni, progettando un futuro sostenibile su più livelli, unendo arte, cultura, design, architettura, inclusione sociale, scienza, tecnologia, in stretta continuità con il Green Deal europeo. La nostra adesione è insieme il frutto d’una scelta etica e politica e l’assunzione di un gesto di responsabilità».

Responsabilità che si declina su diversi piani, strettamente legati alle origini e ai percorsi europei di Strehler e Luca Ronconi, ma anche orientati al rinnovamento ecologico e digitale dell’Italia, dove per esempio la Fondazione Symbola nel recente rapporto Io sono cultura 2021 parla del nuovo Bauhaus per affrontare la transizione verde. «E poi — aggiunge Longhi — come si può dimenticare Bertolt Brecht e il suo progetto teatrale di intervento sulla realtà?». Del resto ogni regista ha sempre voluto e sempre vorrà che uno spettacolo semini nella mente e nel cuore dello spettatore qualcosa che può portarsi a casa ed esplodere poco alla volta: era la stessa speranza di Amleto quando parlava con i comici per stanare la coscienza del re.

Dunque, Longhi, come cambierà concretamente il Piccolo con questa investitura?

«Nel nostro Dna abbiamo già stretti principi identitari con il Neb, proprio pensando al lavoro di Strehler: si tratta di dare continuità al passato valorizzando il patrimonio genetico. Del resto la filosofia del Neb accoglie istanze già diffuse sulla scena, la relazione tra politica e pratiche performative nella contemporaneità. Penso a esperienze come quelle dei Rimini Protokoll, di Lola Arias, di Arkadi Zaides, di Marta Gòrnicka o del teatro Maxim Gorki e del Thèatre de Vidy. Il Neb può essere un altoparlante per nuovi orizzonti dialettici che consentano di uscire dalle sacche dell’autoreferenzialità».

Stimoli, esperienze, colpi di genio del passato possono aiutare anche i bisogni dell’ignoto spettatore post pandemico…

«Nel catalogo del Piccolo ci sono molti spettacoli cui si può attingere per il cartellone multidisciplinare del Neb, dalla messinscena del Faust per mano di Strehler a quella del Candelaio a firma di Ronconi. Ma sono almeno due i titoli che oggi rivendicano un serio approccio scientifico, un affilato affondo filosofico sulla realtà: il Galileo strehleriano del 1963 di Brecht dove lo scenografo Luciano Damiani, allievo di Giorgio Morandi, reinventa lo spazio del Codice Atlantico leonardesco; e Infinities, ai laboratori della Bovisa nel 2002, dove Ronconi stimolò il concetto d’infinito in cinque stanze sul canovaccio matematico e astrofisico dell’inglese John David Barrow».

Allo stesso modo teatro e scienza hanno animato altre serate di via Rovello: per esempio Sul caso di J. Robert Oppenheimer di Heinar Kipphardt, laggiù nel 1964, che affronta il processo allo scienziato lungo tremila cartelle; o L’istruttoria di Peter Weiss, sulla Shoah. Inoltre il rapporto tra vita e ambiente è stato il costante lavoro di Strehler sul suo Goldoni realistico con i pescatori delle Baruffe chiozzotte. Di recente Arianna Scommegna, attrice sensibile al tema, ha discusso al Piccolo con il botanico Stefano Mancuso e il filosofo Emanuele Coccia i comportamenti delle piante e i loro dialoghi: il tema incuriosisce, s’è espresso anche il Papa; e Richard Powers con Il sussurro del mondo ha vinto il Pulitzer.

A guardare bene anche l’immortale Giardino dei ciliegi cechoviano, ambientalista ante litteram e anche medico, non è forse la tragedia ecologica di un magico giardino di memorie che soccombe all’ascia e al plusvalore delle villette a schiera? Nello spettacolo di Strehler le foglie erano in bella vista.

Dunque, Longhi, il tema della riconnessione con la Natura che ruolo deve avere, già oggi, nella rappresentazione teatrale?

«Sono orizzonti centrali, al di là del teatro. È evidente che il rapporto tra soggetto e natura rappresenta una questione cruciale, non meno degli scenari economici. Non a caso si parla, dal 2000, di Antropocene come di una nuova era geologica condizionata in negativo dall’uomo, superando l’Olocene iniziato 11 mila anni fa. Ma se parliamo di ricerca di nuovi equilibri di sostenibilità, il teatro è, dalle tragedie classiche e da Shakespeare, lo specchio del tempo».

Tutta questa preparazione, quasi biblica, che cade nell’ultimo momento utile prima del disastro, come lunedì 9 agosto ci ha ripetuto ancora l’Onu e come le temperature di questi ultimi giorni e degli ultimi due decenni sembrano confermare, dove potrà portarci? Il film «Antropocene» ha allarmato sull’impatto devastante di homo sapiens: può creare confusione?

«Può accadere se sarà poco governabile o decifrabile, ma può anche contrastare la confusione perché la moltiplicazione dei linguaggi e la loro interazione aiuta a sondare la realtà, mappare i percorsi, chiarendo i mutamenti: la complessità è un buon viatico».

Il New European Bauhaus è un sistema articolato: nella prima fase viene messa a punto la piattaforma con analisi e progettazioni di designer, architetti, ingegneri, scienziati, creativi — tutti decisi a sostenere con «buone pratiche» le tre dimensioni della sostenibilità, dell’inclusione sociale e dell’estetica; nella seconda fase vengono potenziati i progetti pilota; nella terza, a partire da gennaio 2023, vengono condivisi conoscenze e risultati.

Il recente G20 romano della cultura ha ribadito il ruolo della medesima cultura come motore economico. Anche da qui, Longhi, passa il Neb…

«L’affermazione della valenza economica della cultura ci consente anche di uscire dalla prospettiva assistenzialistica che condiziona molto il teatro. Ma bisogna fare un passo in avanti, prendere in considerazione la capacità della cultura di generare pensiero. Se da millenni le comunità si raccolgono a teatro è anche perché, da millenni, il dramma nello spettro più alto delle sue possibilità ambisce a spiegarci la realtà, intrecciando trame, disegnando mete, ricercando origini, allineando, un atto dopo l’altro, una scena dopo l’altra, un episodio dopo l’altro, fatti, impressioni, emozioni. A questo serve lo specchio del teatro: a organizzare l’esistente, a dare una forma e un senso alla quotidianità. Questa mappatura del reale e la capacità di riflessione che la genera sono essenziali per la crescita di un Paese. Lavoreremo a una mirata programmazione potenziando le relazioni internazionali. Perché una cultura così può essere di contrasto agli elementi riduttivi degli specialismi ed è la chiave di volta per affrontare la complessità di oggi. Il teatro deve essere un luogo di e per tutti, per conoscere e riconoscersi, per capire sé e scoprirsi noi. Il futuro post pandemico è tutto da scrivere, dipenderà da come e quanto il teatro vorrà inserirsi nel cambiamento in atto, se sarà in grado di assumersi rischi, accettare sfide, guardare paesaggi insoliti con forza e curiosità, oppure se si limiterà a ripiegarsi su sé stesso».

 

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