La guerra di Foggia.

Il ciunnill deve crepare. Ogni giorno è buono. Se esce di casa lo fanno «pieno» (di piombo). Cosimo Damiano Sinesi lo sa. «Mi hanno avvisato che gira uno intorno intorno». In realtà sono due. Guidano una Mercedes Classe A nera. La pistola carica in macchina. «Intorno intorno»: tra casa del ciunnill e quella di sua madre, periferia Sud di Foggia. Ciunnill in dialetto vuol dire effeminato. Quelli del clan avversario lo chiamano così per spregio. Ricchione. Le intercettazioni della polizia registrano la rabbia per quell’«offesa bastarda», inaccettabile per il nipote del boss Roberto Sinesi. Cosimo Damiano, 32 anni, deve morire perché il clan avversario sa che ha organizzato un assassinio.

«L’ho visto io con gli occhi miei, quel giorno maledetto», riferisce una voce captata in obitorio. «Quel giorno» è il 29 ottobre 2016. La mattina Damiano Sinesi entra furtivo in casa di suo cugino Francesco, figlio del capo clan. Riunione di mafia. Di pomeriggio passano fuori da un bar in via San Severo, quartiere Candelaro, alta densità mafiosa. Indicano gli «obiettivi» a due killer venuti da fuori città: quelli scendono da una Lancia Delta e iniziano la mattanza. Bar «H24», ore 15.35, fucile e pistola. Roberto Tizzano, 22 anni, viene investito subito dalle pallottole; prima che il sicario lo raggiunga per tirargli «l’ultima botta», lo implora di risparmiare il suo compagno: «Non lo sparare, non ha fatto niente… infamone»; ma l’assassino spara pure a Roberto Bruno, 22 anni, lo colpisce al petto (non si sa come, ma si salverà); un ragazzino minorenne, potenziale vittima collaterale, scampa per caso: «Se Giuseppe Albanese non se lo tirava nel bagno, a quel ragazzo lo spallottievano pure a lui» (verrà captato in un’intercettazione successiva). Ecco, Giuseppe Albanese: in quel pomeriggio del 29 ottobre, alle 15.38, coi feriti che rantolano a terra e vomitano sangue, è il primo a chiamare il 118. Ma è anche un «miracolato». Conosce le dinamiche della faida. Mentre telefona all’ambulanza, ha già una certezza: doveva crepare pure lui, dentro il bar «H24». E così, nei giorni dopo l’omicidio, si mette in macchina con Franco Tizzano, zio del morto. Sono i due uomini nella Mercedes che fanno le ronde sotto casa del ciunnill . E così passano le prime settimane di novembre 2016 a Foggia: in un tempo sospeso di cadaveri freschi, moribondi in ospedale, «miracolati» assatanati di vendetta e balordi rintanati in casa. Sono i giorni cupi della guerra di mafia più feroce e dimenticata d’Italia. Che in meno di due anni conta 25 omicidi e 12 agguati falliti.

Da Foggia a San Severo sono 30 chilometri; fino a Cerignola, verso Sud, 40 chilometri; 80 chilometri separano il capoluogo dalle coste del Gargano, paradiso del turismo strozzato dalla criminalità. La «Società foggiana» nacque negli anni Ottanta, si parla di una riunione fondativa tenuta da Raffaele Cutolo nel 1979 a Lucera, che in realtà ha avuto poco peso, perché i foggiani sono storicamente chiusi. Pronti a fare affari con le altre mafie, ma sempre autonomi. Nei decenni si sono trucidati in sette guerre di criminalità, ma hanno sempre contato sul fatto che all’Italia (politica, opinione pubblica, giornali e Tv nazionali) di loro non è mai fregato niente. Dopo Camorra, Cosa nostra e ’Ndrangheta, la Quarta mafia è la «Società». E allora bisogna guardarla così, Foggia, 150 mila abitanti, 630 mila con la provincia: economia oppressa dalle estorsioni; società civile piegata dall’omertà e dalla paura. Perché qui tre anni fa è esplosa pure un’autobomba: come a Bagdad, contro gli uffici dei costruttori Zammarano, alle 19.40 di domenica 16 febbraio 2014, in via Grieco, trecento metri dalla questura, un quartiere terrorizzato da una scena di guerra.

E bisogna camminare in questo cimitero di morti ammazzati, oggi imbandierato di rosso e nero per la promozione della squadra di calcio in Serie B, un cimitero sul quale galleggiano poca commozione, la certezza di prossime vendette, il disinteresse del Paese. «La Lettura» ha preso a campione soltanto gli ultimi due anni. Foggia città, settembre 2015-giugno 2017: 5 omicidi e 7 tentati omicidi. Zona di San Severo, settembre 2015-luglio 2017: 11 omicidi e un tentato omicidio. Cerignola, pochi fatti di sangue, resta la base italiana delle rapine ai portavalori e ai caveau: a Foggia, nel 2014, per l’assalto al deposito della «NP Service» vennero usati 19 mezzi tra camion, caterpillar e benne da cantiere; macchine incendiate; 30 colpi calibro 7.62 Nato sparati contro due poliziotti eroici che si buttarono nel conflitto a fuoco (per quell’attacco, la Squadra mobile ha poi fermato 8 persone a Cerignola e scoperto un market clandestino di armi che offriva anche una mitragliatrice col treppiede a terra, da guerra). Infine, il Gargano: tra aprile 2015 e luglio 2017, 9 omicidi e 3 agguati quasi mortali. Questa è zona dei «montanari», killer con la fama di infallibili, gli «scomparsi» finiscono a pezzi nelle mangiatoie dei porci. Estorsioni e droga; controllo delle coste. In passato la violenza era riservata all’inverno, per non increspare l’economia del turismo, che viene taglieggiata senza pietà. Ma l’ultimo cadavere, quello di Omar Trotta, 31 anni, pregiudicato, è stato raccolto dentro il suo locale a due passi dalla cattedrale di Vieste, alle 14 del 27 luglio 2017: colpi di pistola in mezzo ai turisti.

Fare il poliziotto in questa provincia, più che un lavoro, è una missione. Nell’afa di luglio un ispettore della Mobile chiama il suo dirigente e dice: «Dottore, sono in ferie, ma domani passo in ufficio perché c’è quella persona da prendere a verbale». Intere giornate in cuffia per sbobinare le intercettazioni, e i mesi dell’ultima guerra di mafia sono stati elettrici, decine di telefonate che grondavano rabbia in quel dialetto tutto consonanti e che esplodevano in continui chitemmurt , chin d mmerd , cornut , facce verdi . Un ispettore ha sentito chiaro pronunciare il suo nome con una minaccia di morte: «Bastardo in faccia, quel cornuto. Lo devo sparare in testa… Gli devo accendere la macchina». Colore e modello dell’auto erano quelli giusti. Indagare sulle faide è un impegno massacrante: dopo un agguato, i parenti della vittima conoscono già i colpevoli e s’organizzano per ammazzarli; polizia, carabinieri e magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bari, con il procuratore capo Giuseppe Volpe, devono provare ad arrivare prima. A novembre scorso la donna di una «batteria» va in carcere per un colloquio, incontra un boss rivale e gli sibila in faccia: «Gli faccio vedere io, come fa l’Isis».

Nell’ottava guerra di mafia in corso a Foggia si stanno scontrando le «batterie» Sinesi/Francavilla e Moretti/Pellegrino/Lanza. Il 13 settembre 2015 Mario Piscopia (gruppo Moretti) viene ferito alla testa, i killer lo credono morto e se ne vanno. 17 ottobre 2015: l’allora «reggente» Vito Lanza viene colpito al petto e al collo (sarà piantonato in ospedale). Dopo l’agguato la Squadra mobile, diretta da Roberto Pititto, ferma due sicari del clan Sinesi, Luigi Biscotti e Ciro Spinelli. Ma la reazione del gruppo Moretti scatta comunque: tentato omicidio di Mimmo Falco, il 21 novembre 2015; il 31 dicembre un commando viene fermato dalla polizia prima di un attacco, con un kalashnikov e due pistole; il 23 gennaio 2016 due uomini bussano a casa di Rocco Dedda, uomo di fiducia di Sinesi, e lo ammazzano appena si affaccia. Cinque giorni dopo, la Mobile chiude in tutta fretta con la Dda di Bari l’operazione «Ripristino», 8 fermi di uomini del clan Moretti che stavano muovendo un arsenale a Foggia. La sequenza di violenza sembra placarsi, e nel frattempo la polizia conclude altre due inchieste: una ad aprile 2016 («Rodolfo», 11 arresti per estorsione distribuiti in entrambe le «batterie») e una a giugno («Saturno», 6 arresti del clan Sinesi che imponeva la tangente ai camion dei pomodori). Il 6 settembre 2016 due killer affiancano però una 500L grigia: feriscono Roberto Sinesi, una pallottola colpisce anche il nipotino del boss, un bambino di 4 anni.

È l’antefatto dell’attacco al bar «H24» del 29 ottobre, l’omicidio Tizzano, la ritorsione simbolo: quella che doveva fare strage, diffondere minaccia di sterminio. E che s’è chiusa così: il 13 novembre arrestano Giuseppe Albanese ed evitano che possa ammazzare u’ ciunnill , Damiano Sinesi. Il 31 dicembre la polizia ferma Patrizio Villani, il sicario. Il 19 luglio 2017 la sezione Criminalità organizzata della Mobile, guidata da Giuseppe Valerio, arresta i 4 organizzatori e fiancheggiatori dell’agguato all’«H24» (tra cui figlio e nipote del boss Sinesi). Il secondo killer non è ancora identificato. Chi conosce la strada, a Foggia, ipotizza però che si stia stabilendo una nuova pax: perché il boss Rocco Moretti, autorità massima della «Società», è stato scarcerato dopo 25 anni. Anche lui era stato condannato per un’antica guerra di mafia, sfociata nella strage del circolo «Bacardi», quattro morti il primo maggio 1986.

 

  • Domenica 6 Agosto, 2017
  • LA LETTURA