il caffè
di Massimo Gramellini
Da Boschi in giù, i renziani lamentano che, per fare un dispetto a Renzi, nel governo del Conte Rosso non ci siano sottosegretari toscani. Forse intendevano dire renziani. No, hanno detto proprio toscani. Come se Matteo I fosse il Granduca della Leopolda e qualsiasi discriminazione patita da un peone grillino di Montevarchi o da un franceschiniano di Grosseto — per non dire da un dimaiano degli Uffizi, figura quasi mitologica — andasse considerata come rivolta personalmente a lui. Se questa è la logica, d’ora in poi un film senza comparse toscane andrebbe interpretato come un attacco a Benigni e una scuola senza supplenti di italiano residenti a Firenze come un tentativo di epurare Dante.
Mi immagino la vitaccia che attende Renzi nei prossimi anni. Dietro ogni inglese che disdice un casale nel Chianti, ci sarà la longa manus di Zingaretti? Eventuali mareggiate in Versilia andranno ascritte a uno starnuto di Enrico stai-nuvoloso Letta, smanioso di metterlo in cattiva luce con Greta Thunberg? E l’ubriaco che fa la pipì in piazza della Signoria non avrà per caso bevuto il vino prodotto da D’Alema? Un cavallo del Palio che manda il suo fantino a gambe all’aria è un equino riottoso oppure il messaggio in codice di qualche ronzino renziano a cui era stato promesso un sottosegretariato? Per non parlare dei rigori dati, ma più spesso non dati, alla Fiorentina: impossibile non scorgervi l’alto patronato europeo dell’ex amico Gentiloni, che tra l’altro sembra sia pure juventino.