Per estirpare il Giglio Magico dal partito a guida zingarettiana

Governo, non ci sono toscani. Boschi protesta: “È un colpo a Renzi”

Scoppia l’ira dei renziani per la penalizzazione della regione dell’ex premier nella scelta della squadra di governo. L’ex ministra: “Rottura? Se tornano Bersani e D’Alema dovremo discutere”. Zingaretti: “Basta con questo tormentone”.

Il governo è chiuso, lo scontro nel Pd riaperto. Matteo Renzi fa sapere di non essersi interessato alle trattative sui sottosegretari, ma i renziani protestano per la mancanza di toscani nella squadra. E i toni si accendono al punto che c’è chi torna a evocare la scissione. Nell’ex convento di Sant’Agostino, invece, si respira un clima di festa. Il destino non poteva regalare giorno migliore per inaugurare la convention annuale di Areadem, la corrente di Dario Franceschini, mai tanto affollata come stavolta: segno che il carro è tornato vincente. A dispetto dei venti di guerra alimentati dai renziani, convinti che sia stato proprio lui, il ministro della Cultura, ad averne deciso la rappresentanza nel governo. Per favorire colui che si sospetta esser diventato il suo nuovo alleato: il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, pure lui sbarcato nel borgo toscano e ora seduto in prima fila.

Alle sette della sera, dopo l’ultimo intervento dal palco, Franceschini saluta la ressa di deputati e sottosegretari accorsi in quel di Cortona per celebrare il negoziatore del Pd – “Dario è stato un vero maestro di trattativa”, gli ha appena riconosciuto Andrea Orlando – e si congeda con un sorriso. “Vado a riposarmi un’oretta”, si scusa, “è stata una notte complicata”. La notte dei lunghi coltelli volati fino all’alba per chiudere la squadra di sottogoverno: una battaglia di lame che tuttavia, più che coi i 5S, il capodelegazione dem ha incrociato con Renzi, l’ex segretario col quale sin dall’inizio è stata concordata ogni mossa, anche per evitare pretesti di scissione.

Sono quasi le due del mattino quando Franceschini chiama il senatore di Firenze. Gli comunica che tra viceministri e sottosegretari la sua area ne prenderà cinque. Renzi chiede chi sono: un dettaglio non indifferente vista la gran mole di aspiranti. L’altro li elenca: Scalfarotto e Ascani, espressi dalla mozione che ha sostenuto Roberto Giachetti alle primarie; Simona Malpezzi, Salvatore Margiotta e Alessia Morani di Base Riformista, la corrente guidata da Guerini e Luca Lotti. L’ex premier a quel punto protesta. Lui ne avrebbe voluti cinque a prescindere da Base Riformista, che ormai fa storia a sé. Il ministro della Cultura gli spiega che i posti sono limitati e bisogna far contenti tutti, l’unità del partito si raggiunge anche così, tanto più che sono stati proprio Giachetti e Guerini a fare quei nomi lì.

Ma Renzi si sente scavalcato: “Che mi hai cercato a fare dal momento che avete già deciso tutto? Io non ne voglio sapere niente”. Franceschini si rende conto che la miscela è esplosiva. Chiama Scalfarotto: “Ma tu che vuoi fare?”. Il deputato in odore di promozione prende tempo, vuole sentire Renzi che però non si fa trovare. Allora compone il numero di Giachetti, che gli dà via libera. E il quadro, faticosamente, si chiude.
Ma al mattino parte la controffensiva dei renziani.
“Dispiace che per vendicarsi della stagione renziana il Pd abbia cancellato tutta la Toscana dai ruoli di governo” twitta Francesco Bonifazi. “Spero non sia un modo per colpire Renzi e il nostro gruppo” avverte Maria Elena Boschi. E aggiunge: “Se tornano Bersani e D’Alema ci sarà da discutere”. L’europarlamentare Simona Bonafé evoca le purghe staliniste. Al Nazareno cadono dalle nuvole: Renzi non ha mai indicato alcun toscano da inserire nella squadra dei sottosegretari. Ma il sospetto è che sia una scusa per rompere.

Ci pensa Guerini a liquidare la questione: “Capisco le legittime aspirazioni territoriali, ma i numeri sono quelli che sono. L’importante è che il governo lavori per tutto il paese”. Segno di una distanza dal Giglio Magico ormai consumata. “Matteo è stato un protagonista della fase che ha portato all’accordo di governo con il M5S”, insiste il ministro della Difesa, “ma se ciò è potuto avvenire è perché il Pd era unito e ha saputo cogliere la prospettiva da lui indicata”. Chiaro il messaggio: uscire adesso sarebbe un suicidio. Una telenovela che infastidisce il segretario Zingaretti: “Sono tormentoni basati sul nulla”, dice da Milano

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