La Collezione Spannocchi la punta dell’iceberg

di Pierluigi Piccini

 

Parliamo della Collezione Spannocchi. Continuo a chiamarla in questo modo: la nuova denominazione, che le associa il nome Piccolomini, mi sembra quanto meno discutibile. Il trasferimento dalla Pinacoteca certifica un problema ancora tutto aperto: non esiste un progetto organico per quella zona della città che coinvolge il Santa Maria, il Palazzo del Capitano, il Museo dell’Opa, Palazzo Chigi Zondadari, la Pinacoteca, il palazzo delle Papesse e la stessa Chigiana. Ci si muove con interventi singoli, che creano confusione e non danno l’idea di un piano culturale organicamente mirato. Una delle conseguenze, è ciò che  è diventato il Santa Maria della Scala: una galleria con tanti pezzetti diversi e poco organici uno con l’altro, nell’assurdo tentativo di rappresentare al proprio interno la complessità delle presenze culturali del territorio di Siena. La stessa  collocazione della Collezione Spannocchi dà l’idea di essere un allestimento sacrificato nello spazio, in una logica – appunto – da galleria di un tempo. Sembra quasi un contentino per chi avrebbe voluto il trasferimento della Pinacoteca, un rapporto che sembra recuperabile solo commercialmente, forse con l’istituzione di un biglietto unico. Il paradosso è che uno degli oggetti più interessanti della Spannocchi, i cartoni per il pavimento del Duomo del Beccafumi, sono rimasti alla Pinacoteca. Si comprende la delicatezza dell’opera appena restaurata, la difficoltà di conservarla e di allestirla, ma così si priva scientificamente la Collezione di un pezzo di  particolare interesse utile alla ricomposizione contestuale delle presenze che gravitano intorno alla piazza del Duomo. Così come è sacrificata la Maestà di Duccio, imprigionata in una stanza che chiede da tempo di essere liberata, magari con l’ampliamento del museo nei locali del Monna Agnese, in Toscana stiamo assistendo a una fioritura di nuovi allestimenti come a Firenze per esempio. Sacrificate sono le stesse opere d’arte dell’Ottocento e del Novecento che giacciono disorganicamente in diversi magazzini e che potrebbero trovare una collocazione adeguata in uno degli edifici sopra elencati. Insomma, la città sta pagando la mancata realizzazione del progetto firmato nel 2000 con il Ministero dei Beni Culturali che avrebbe significato, gioco forza, una risistemazione fisica di tutta l’area in oggetto. Le varie amministrazioni non hanno potuto o voluto dare gambe a quel progetto e ognuna di esse è andata per proprio conto. Il peggio che a quel progetto non se n’è sostituito nessun altro e la situazione  di disorganicità è sotto gli occhi di tutti. È ora che, insieme alla statuto per la Fondazione Santa Maria della Scala, l’Amministrazione Comunale presenti un piano di politica culturale che, facendo perno sull’Ospedale, guardi al territorio nel suo insieme. Progetto che ha bisogno di un confronto con i vari soggetti interessati e con le intellettualità presenti a Siena.