In risposta alla direttrice della Pinacoteca, Elena Rossoni

Caro Direttore, 

leggo con stupore l’intervista di Stefano Luppi (“Il Giornale dell’Arte” , 1 marzo 2021, p. 27) alla direttrice delle sedi senesi del raffazzonato Polo dei Musei della Regione Toscana. (ora il nome è cambiato, è scomparso ‘Polo’ che non era ma rimane il fatto che è un vasto insieme di realtà estremamente difformi) . Nel calderone figura anche la Pinacoteca Nazionale di Siena. E già questo è stato un errore intollerabile. Visto che la nuova direttrice Elena Rossoni da poco insediata – auguri di buon lavoro! – si richiama a Cesare Brandi, del quale ho raccolto molti interventi senesi e tutti quelli relativi alla Pinacoteca in un volume, “Aria di Siena” (Roma. 1987) e tante volte e in diverse  occasioni ne ho richiamato l’indimenticabile e rigoroso insegnamento, mi permetto di notare che quanto viene previsto dal programma sommariamente accennato non può davvero essere inscritto sotto il titolo “Ripartiamo da Brandi”. Cesare Brandi è stato per me fin da quando fui sindaco dalla città e poi sempre fino agli ultimi suoi anni una sorta di consigliere, ascoltato con devozione e seguito con cura. Non sto a dilungarmi. Sarebbe inorridito oggi nel constatare che la Pinacoteca da lui ordinata nel 1933, uno dei Musei di rilievo europeo, deposito di opere cruciali per capire la genesi stessa di una Scuola e delle propensioni di un ambiente che produsse una stagione unica di originale creatività, è stato incluso in un sistema – se la parola è concessa – del tutto sproporzionato al suo rilievo e alla sua eccezionalità. Così vanno le cose in base da una geografia che non ha nulla a che vedere con criteri filologici e adeguatezza funzionale. Sulla Pinacoteca e la sua nascita, e le sue traversie, c’è una bibliografia immensa e da ultimo a far luce su aspetti finora non abbastanza noti il saggio di Bernardina Sani (edito da Carocci). Non è questa la sede per ripercorrerne illuminanti pagine. Desidero solo toccare un punto tutto politico. L’idea per cui Brandi – con Giovanni Previtali e tanti altri autorevoli studiosi e funzionari che non sto a elencare – si è battuto fino alla fine è stata quella , risalente addirittura ai primi del Novecento, di trasferire la Pinacoteca nel complesso del Santa Maria della Scala: un complesso che Brandi stesso, a conclusione di una riflessione lunga e non lineare, definì Centro culturale polivalente, all’interno del quale situare quale fulcro portante la Pinacoteca nazionale, eventualmente integrata e rimodulata secondo un’aggiornata visione critica. E si era arrivati ad uno snodo concretizzatosi nel 2000 – sindaco Pierluigi Piccini – in una bozza di accordo tra Ministero e Comune, proprietario dell’Antico Ospedale, per un trasferimento non meccanico e neppure di necessità integrale, da meditare e ripensare. Il progetto di restauro non si è ancora concluso per una serie di ritardi e di disavventure sulle quali non mi trattengo, tanto son note. Ora si sta progettando una Fondazione che dia autonomia al Santa Maria e gli conferisca quella solida soggettività istituzionale che finora non ha avuto. Abbandonare l’obiettivo di una convenzione e di altro strumento – non entro in tematiche giuridiche  in questa breve lettera – che  permetta di collocare la Pinacoteca finalmente in spazi adeguati e centralissimi nell’Acropoli di Siena – copyright Brandi – vuol dire non “Ripartire da Brandi” ma “Tradire Brandi” e con lui tutto coloro che si sono battuti e continueranno a battersi per dar vita ad uno spazio di arte e di formazione e produzione che, in collegamento con l’Università degli studi, con la Diocesi e con l’apporto di partnership di privati, facciano dal labirintico xenodochio di un tempo luogo di incontri e dialoghi e conoscenza, come può ancora essere. La gestione finora esercitata ha dato anche risultati apprezzabili tra alti e bassi, incertezze e ondeggiamenti. Occorre evitare, in linea con Brandi, il rischio che sia degradato a luogo disponibile in prevalenza per transeunti e incidentali mostre o per convegni o fiere o altre bizzarrie, che ne stravolgerebbero rovinosamente una fisionomia contemporanea e vitale, davvero attrattiva e feconda.  

Roberto Barzanti