Il provocatore conformista

La duplice identità del Bronzino, figlio di un macellaio che lo liberò dal bancone, allievo del Pontormo Pittore di casa Medici, ricercatissimo per i ritratti, con cui modellava i caratteri. A suo piacimento

 

È bello quando sei te stesso, ma lo diventi anche grazie alle persone che incontri. Agnolo di Cosimo, detto il Bronzino, imparò i rudimenti della pittura da Raffaellino del Garbo, caso tristissimo e straordinario di artista che, dopo una partenza eccellente, peggiorò sempre. Il Bronzino fece tesoro di questo sfortunato esempio e preferì migliorare, incoraggiato dal padre, un macellaio che invece di tenere il figlio legato al bancone lo lasciò correre verso le immagini. Per molti anni fu allievo del Pontormo, che aveva un carattere impossibile. Nessuno riusciva a stagli accanto. Il Bronzino sì: gli dava sempre ragione. Ma non in modo ipocrita: riusciva davvero a mettersi nei suoi panni. «Quello è un cretino» diceva il Pontormo. «Hai ragione» diceva il Bronzino. «Mi ero sbagliato sul conto di quella persona» si correggeva il Pontormo il giorno dopo. «È vero» diceva Bronzino. «Ma perché mi dai sempre ragione? O avevo ragione ieri oppure ho ragione oggi» diceva irritato Pontormo. «Anche questo è vero» rispondeva il Bronzino, con un’aria di così profonda partecipazione che il Pontormo metteva da parte il dubbio di essere preso in giro. Si amavano. Passarono anni memorabili alla Certosa di Firenze, mentre fuori c’era la peste. E alla fine le opere dell’uno erano indistinguibili da quelle dell’altro. Il Bronzino scrisse delle poesie sul maestro. Andò a lavorare a Pesaro, conquistando una sua autonomia, ma il Pontormo lo richiamò a Firenze perché dipingessero insieme gli affreschi di villa Medici a Poggio a Caiano, non poteva stare senza di lui.

Il Bronzino lavorò agli addobbi per le nozze di Cosimo I con Eleonora di Toledo, che noi immaginiamo sempre in posa ma in realtà erano dei ragazzini. La coppia fu contentissima del Bronzino e tutte le persone importanti della città vollero farsi fare il ritratto da lui. Lui contava sempre fino a dieci, prima di rispondere a queste persone pericolose. Poi li guidava dove voleva. La gente faceva di tutto per assomigliare ai suoi ritratti. Bartolomeo Panciatichi, per esempio, magari era un uomo simpatico: la faccia da schiaffi che vediamo nel suo ritratto gliela impose il Bronzino. Lo stesso vale per Lucrezia Panciatichi e tanti altri. Diventò il pittore ufficiale di Casa Medici. Ritraendo grandi e piccoli ne modellava la personalità. Disegnò arazzi di seta e d’oro. Affrescò la cappella di Eleonora in Palazzo Vecchio: lei gli faceva dipingere qualcosa, poi cambiava idea, lui contava fino a dieci. Pontormo avrebbe reagito diversamente. E anche Benvenuto Cellini, che ebbe da ridire su tutto, anche sulle perle indossate da Eleonora. È arrivata fino a noi l’immagine del Bronzino come pittore integrato, attento a muoversi nei meccanismi della dittatura medicea. Però nessuno sta anni col Pontormo senza conseguenze. Lui aveva il maestro dentro di sé: l’irregolare e il conformista, il moralista e il provocatore, erano fusi in un’unica persona. «Dimmi quello che non devo fare» gli chiedeva Cosimo, ancora molto giovane. Lui gli descriveva tutta una serie di pratiche erotiche che erano da condannare. Come sintesi di questi ammonimenti morali dipinse Allegoria del Trionfo di Venere , quadro di erotismo glaciale che Cosimo fissava ipnotizzato, finché Eleonora non fece sì che venisse regalato al re di Francia, e in questo modo la questione fu chiusa. Ma Cosimo non perse mai l’interesse per le donne fredde e lisce. Il Bronzino dipinse un ritratto di Eleonora e il figlio Giovanni in cui la duchessa è scafandrata in un abito che non esisteva, ma poi fu realizzato. La duchessa indossa anche quelle perle odiate dal Cellini. «Non lo sopporto» disse Eleonora al Bronzino parlando del Cellini. «Lo capisco» rispose il Bronzino. «Cretina» disse il Cellini. «Già» fece il Bronzino.

Che fosse chiamato così per la faccia di bronzo è teoria indimostrata. E poi lui era sempre sincero, cercava solo di capire gli altri. Apprezzava sia Eleonora di Toledo che Benvenuto Cellini, a cui dedicò delle poesie. Dipinse Morgante, il nano preferito di Cosimo, in un quadro che lo ritrae nudo davanti e di dietro. Mentre Morgante posava ebbero splendide conversazioni. Il modello diceva cose beffarde e cattive (era uno specialista, lo pagavano per questo) pensando di scandalizzare il Bronzino, che aveva un’aria così per bene. Il Bronzino reagiva con amabilità imperscrutabile.

Uno che ha il Pontormo dentro di sé non si turba per così poco. Quando morì il suo amico Cristoforo Allori, Bronzino si piazzò a casa sua per sostenere la famiglia e si legò al figlio, Alessandro Allori, che trasformò in pittore. Diventò amico di Laura Battiferri, poetessa che fu proclamata superiore a Saffo. Moglie dello scultore Bartolomeo Ammannati. «Tutta dentro di ferro, e fuor di ghiaccio» scrisse Bronzino. Il suo nome, presso l’Accademia degli Intronati di Siena, era Sgraziata. Il suo aspetto non corrispondeva ai canoni di bellezza della sua epoca, forse di nessuna epoca. Il Bronzino l’adorava, non ne poteva più della dittatura delle donne belle, del resto preferiva gli uomini. Le dedicò dei sonetti. Pubblicarono un libro insieme, con poesie dell’uno e dell’altra. La dipinse. Cercò di ingentilirla. «Sciocco, fammi il nasone» disse lei. Così lui cancellò il nasino e immortalò la donna di carattere che possiamo ammirare ancora oggi a Palazzo Vecchio. La morte di Pontormo fu un duro colpo, Bronzino continuò il lavoro del maestro a San Lorenzo. Invecchiando diventò sempre più bravo, perché avendo dentro di sé l’esempio di Raffaellino del Garbo riuscì a capovolgerlo. Ritrasse altre volte Cosimo e Eleonora, una coppia frutto di un matrimonio combinato che aveva funzionato benissimo. A poco a poco, Vasari lo sostituì come pittore di corte. Lui parlò al destino e gli disse: «Non hai tutti i torti». Vasari racconta che il Bronzino fu un amico dolcissimo, di piacevole conversazione, amorevole, quieto e che furono amici dal 1524, quando il Bronzino stava nella Certosa col Pontormo e Vasari tredicenne andava a trovarlo per trarre disegni dai suoi dipinti. Alla sua morte Alessandro Allori pronunciò l’orazione funebre e da allora in poi si fece chiamare Bronzino. Così il pittore che aveva dentro di sé il Pontormo si trasferì nel corpo di un nuovo Bronzino, in una resurrezione senza fine.

 

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