IL PRIMO EFFETTO DELLE REGIONALI È UNA SPINTA CENTRIFUGA.

di Massimo Franco

I primi effetti delle elezioni regionali di domenica scorsa sono lo sfaldamento anche parlamentare di Forza Italia e l’inasprimento ulteriore dei rapporti nel Pd. La vittoria in Campania sta sprigionando più veleni di quanto si pensasse: con il neogovernatore Vincenzo De Luca che querela la presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi; e Beppe Grillo che denuncia a sua volta De Luca per l’attacco alla Bindi, e chiede nuove elezioni nella Regione: mossa abile e potenzialmente destabilizzante. Lascia intravedere il tentativo, da parte del Movimento 5 Stelle, di allargare lo scontro nel Pd a proprio vantaggio.
È chiaro che non si può sciogliere il Consiglio campano appena eletto; e che De Luca alla fine sarà sospeso, in quanto condannato in primo grado. Ma la manovra è quella di ritardare al massimo quel momento, cercando di ipotecare gli equilibri della giunta. Non sarà facile. Le tensioni nel partito del premier rendono l’operazione ad alto rischio. E le critiche del commissario Anticorruzione, Raffaele Cantone alla Bindi per la pubblicazione della lista dei cosiddetti «impresentabili», si sta rivelando un boomerang.
Cantone è stato accusato di voler compiacere Matteo Renzi. E ieri ha dovuto correggere il tiro. L’episodio conferma quanto sia scivolosa la questione della Campania. Il rischio è di infilarsi in polemiche che possono bruciare anche personaggi come Cantone, nonostante il sostegno tiepido del Pd alla Bindi. Purtroppo, l’appello del capo dello Stato, Sergio Mattarella, a lasciarsi alle spalle i rancori che favoriscono l’astensionismo, non ha modificato una situazione tesissima. Renzi assicura che andrà avanti con più determinazione di prima.
Fa confermare la riunione della Direzione del Pd per lunedì, prefigurando la resa dei conti. Eppure, la possibilità di normalizzare il partito sembra più difficile. Il brusco calo di voti è compensato parzialmente dalla vittoria di domenica. Soprattutto, un Renzi scelto come argine contro i populismi, oggi deve registrare che sono cresciuti sia quello leghista, sia quello di Grillo. Un ministro come Graziano Delrio, ex braccio destro del premier a Palazzo Chigi, invita il Pd a «uscire unito» dallo scontro delle scorse settimane.
Il rischio di una scissione come quella che sta subendo FI, dove i seguaci di Raffaele Fitto ieri hanno formato un gruppo autonomo al Senato, per il Pd non si pone. C’è una frangia di sinistra insofferente verso il governo; ma non è in grado di provocare una frattura degna di questo nome. Quanto ai due senatori, ex di Scelta civica, che hanno abbandonato la maggioranza, formalizzano un distacco avvenuto da tempo. È una «non notizia», ironizza Giorgio Tonini. Per Renzi contano i dati Istat di aprile sull’occupazione, più confortanti del solito: sono il suo antidoto.