La battaglia dei negozi storici«Inutile senza leggi nazionali».

Il caso «Di’ Sordo» e gli altri: contro la rendita il Comune ha poche armi, spuntate

Claudio Bozza

 

L’identità e la tradizione commerciale degli esercizi storici fiorentini sono agonizzanti per due fattori precisi: l’esplosione della rendita in più zone della città, con canoni anche quadruplicati, ma anche la volatilità delle nuove aperture, che cavalcano il business del momento, senza però riuscire a diventare imprese solide. Due esempi su tutti? I negozi che vendono le sigarette elettroniche: a decine hanno aperto e subito richiuso nel giro di pochi mesi. Idem quelli che vendono cover per telefonini. Secondo i dati di Confesercenti Firenze, dall’inizio degli anni 2000 (dopo la liberalizzazione) la vita media delle imprese iscritte è di circa 4 anni, 4 anni e mezzo. Per i canoni di locazione le regole micidiali del mercato rimangono la chiave di volta: a Firenze più che in altre città, fino a quando gli incassi reggono a buoni livelli, ci si può anche permettere di pagare affitti alti. Ma quando il business di sgonfia, si preferisce chiudere subito, dopo aver sfruttato il «boom».

Anche a cancellare i 50 anni di storia della trattoria «Di’ Sordo» di via Gioberti è stato un boom, quello dell’affitto triplicato dai proprietari: da 2.300 a 8.000 mila euro al mese. Impossibile resistere. E anche qui, in una delle strade commercialmente più appetibili di Firenze, arriverà una grande catena di magazzini o, magari, un altro sushi bar. Niente, insomma, che possa ricompensare della perdita «Di’ Sordo».

Ma Palazzo Vecchio che armi ha per salvare questi pezzi di storia? Poche o nessuna. Finora ha fatto il massimo in suo potere: tagliare il più possibile l’Imu per gli esercizi storici. Una sorta di moral suasion , per convincere i proprietari a contenere i canoni. E un sostegno anche ai commercianti storici che sono proprietari delle mura dell’attività, per aiutarli a non cedere alla voglia di chiudere e affittare.

«Davanti alle leve in possesso del Comune siamo impotenti, perché si riesce ad intervenire solo su fattori economici non decisivi: gli sconti sull’Imu sono poche centinaia di euro, chi raddoppia o triplica i canoni lo fa perché c’è chi è in grado di pagarli — riflette Stefano Fontinelli, direttore di Confesercenti Firenze — Di cosa ci sarebbe bisogno? Di una norma nazionale che calmieri i canoni per le attività che sussistono nello stesso immobile da più di 25 anni, ad esempio. Palazzo Vecchio ha fatto quello che è possibile fare: sempre per sostenere attività storiche, però, si potrebbero applicare anche sconti sulla Tari. Un altro aiuto economico, ma anche in questo caso non decisivo».

Oggi, nello speciale elenco del Comune, ci sono circa 250 esercizi storici. E l’assessore allo Sviluppo economico Cecilia Del Re sta lavorando da mesi, dietro le quinte, per costruire appigli giuridici che rendano applicabili tutele più forti contro la raffica di chiusure, quasi sempre dovute agli insostenibili rincari degli affitti. L’obiettivo massimo è arrivare ad istituire il divieto di trasformazione delle attività storiche, anche se sarà molto complicato far resistere tali misure a ricorsi certi da parte dei proprietari immobiliari. L’assessore Del Re, entro dicembre presenterà i risultati di un accurato studio effettuato da un team della facoltà di Architettura, che dalla scorsa estate sta effettuando accurati sopralluoghi in tutte le attività contenute nell’elenco speciale, classificando la storicità del negozio, dell’arredamento, dell’insegna e del valore che tale attività contribuisce al tessuto urbano in cui si trova. È il passo successivo al nuovo regolamento Unesco, approvato lo scorso 9 maggio dal Consiglio comunale. E le prossime restrizioni sul commercio storico, dopo quelle efficaci «anti mangificio», scatteranno proprio sulla base dello studio che evidenzierà gli aspetti da tutelare.

 

Martedì 21 Novembre 2017 Corriere Fiorentino.

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