Il potere, la politica i diari di bernabei come il trailer di un film

il libro di PIERO MEUCCI

 

di Roberto Barzanti

Era un boccone troppo ghiotto e Piero Meucci, giornalista esperto di tutti i formati, non se l’è lasciato sfuggire. Avendo avuto per primo tra le mani, anche per il suo ruolo di presidente dell’ARCTON (associazione ARchivi di Cristiani nella Toscana del Novecento), i diari di Ettore Bernabei (1921-2016) si è messo a sbirciarli con avida curiosità, li ha scorsi d’un fiato, ne ha estratto passi tra i più rivelatori e ne ha ricavato un volume (Ettore Bernabei il primato della politica. La storia segreta della DC nei diari di un protagonista , pp. 368 , € 17, Marsilio, Venezia 2021) da sfogliare tenendo ben presenti le avvertenze dell’autore. Il manager fiorentino, noto al grande pubblico soprattutto per il ruolo fondante assolto come direttore generale della Rai dal 1961 al 1974, fu fedele collaboratore di Amintore Fanfani e abilissimo mediatore tra le correnti democristiane. Partecipe appassionato di una linea ispirata agli ideali di un concreto lapirismo fu al centro di una miriade di relazioni. Unì energiche competenze organizzative ad una sottile diplomazia, fermezza ideale e prensili aperture. Aveva cominciato il suo lungo cursus nel 1951 al Giornale del Mattino per poi passare al quotidiano del partito, Il Popolo , in un anno drammatico, il 1956: a Firenze chiuse i battenti, quasi in contemporanea, Il Nuovo Corriere di Romano Bilenchi. Si spensero due voci memorabili della battagliera cultura sfornata in riva d’Arno. Meucci non ha voluto offrirci una ricerca di storia: ha trascritto con puntualità, riassumendo dalle 300 pagine delle 14 agende-diario passi sintomatici o scegliendo mirate citazioni, raccontando in diretta impressioni e propositi, sempre immedesimandosi nell’estensore. Dunque una fonte non artefatta, compilata dalla fonte maggiore, come facevano gli agiografi dei santi quando dovevano stringere in agili sintesi biografie monumentali. Non è andato a scovare scoop clamorosi, ma a mettere in luce gli scatti psicologici, l’anima e l’animosità che sostengono la penna del suo eroe. Il libro assomiglia all’esteso trailer di un film da render noto con il dovuto scrupolo filologico. Giorgio La Pira non ha in questi appunti un’aura di sacralità: «Fanfani — afferma con giuliva perentorietà il 7 luglio 1958 — unico uomo politico del nostro Paese, gli altri sono tutti direttori generali, piccoli artigiani di fronte a un artista». Nelle fasi preparatorie del centro-sinistra le differenze di temperamento, e non solo, tra Fanfani e gli altri emergono di continuo. Il boiardo di Stato non risparmia crude impazienze: «Sono sette anni che Mattei finanzia i socialisti per favorire lo sganciamento dal Pci». Nel mezzo della crisi provocata dallo squilibrio a destra di Tambroni, Bernabei disapprova una prudenza fuori luogo: «Il silenzio è Moro», battuta tagliente che porta allo scoperto il dualismo che scuote la Dc. Dati i riconoscimenti agli indubbi meriti, non si possono tralasciare le storture che marcheranno il sistema. Quella buona televisione fu anche un medium unico al servizio del potere e accoppiò qualità produttiva a occulta persuasione. L’intreccio tra capitalismo pubblico e pesanti legami coi partiti è fortissimo. L’invadenza della gerarchia vaticana è continua e insidiosa. Durante il referendum sul divorzio esplodono sopiti contrasti: il senso della laicità va a farsi benedire. La leadership morotea è, in sintonia con il rigido cardinal Giovanni Benelli, interpretata strumentalmente: «Ecco la necessità di un incantatore di serpenti come Moro, che, pur perseguendo la linea politica giusta di contrapposizione al comunismo, riesca ad attirare le sinistre Dc ed esterne con le sue fumisterie alchemiche». Una tale presa di distanza non impedirà a Fanfani di essere possibilista e, senza trattare con le Brigate Rosse, di dichiararsi favorevole, in un incontro avvenuto a casa Bernabei con Craxi, a scongiurare l’assassinio di un uomo barbaramente sequestrato definendo «ottiche che possano costituire apprezzabili manifestazione di autonoma clemenza» (26 aprile 1978). Con la scomparsa dalla scena di La Pira, Moro e Paolo VI ha termine una fase dei legami tra il pontificato e la Dc contrassegnata dal «più saldo anche se beato sodalizio spirituale e politico mai esistito tra Chiesa e politica italiana». Il sofferto ingresso nella modernità predicato dal Maritain caro a papa Montini era stato orientamento necessario, ma assai difficile da seguire con coerenza. Fede e affari, speranze e sconfitte son registrate in resoconti stesi a sera, forse in vista di una futura pubblicazione: taglio da ponderare esaminando il frammentato testo nella sua completezza. Fantasmi massonici e complottismo finanziario anglo-olandese si agitano sullo sfondo. Il panorama si fa nebbioso, globale, sfuggente. Il diario si conclude in effetti nel 1984. Dopo un protratto intervallo viene ripreso, ma le riflessioni dell’arco 2007- 2016 sono intinte di nostalgia. La creazione (1992) della Lux Vide attesta una fiera intelligenza imprenditoriale. La trasmigrazione di Ettore Bernabei dalla quotidiana Realpolitik alla seducente fiction ha qualcosa di onorevolmente simbolico nell’assordante «società dello spettacolo». Così lontana dal luminoso fervore cristiano delle febbrile giornate d’esordio.

 

 

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