Il potere in Vaticano al tempo della malattia

di Alberto Melloni
Nessuno ha visto nel silenzio con cui il Papa ha avvolto il suo ricovero al Gemelli quel segreto che si stende quando si incrina la salute dei potenti. È apparso invece chiaro che il Papa ha taciuto per un pudore oggi raro e di cui i potenti sono incapaci.
È il pudore della sua età, nella quale parecchi anziani subiscono crudeli rottamazioni (che anche la chiesa usa e poi condanna, quando si dimentica di avervi fatto ricorso). È il pudore di chi nutritosi delle Scritture ricorda una parola del Risorto a Pietro: “Quand’eri giovane ti cingevi da te e andavi ovunque volevi, ma da vecchio tenderai le mani e un altro ti condurrà dove non vuoi” (Gv 21); e quella in cui si dice che durante la prigionia di Pietro “una preghiera incessante saliva a Dio dalla chiesa per lui” (At 12). E lì nella certezza della custodia di Dio e dell’amore della fraternità chi vive con pudore il male è al sicuro. Tuttavia l’intervento chirurgico su Francesco segna un passaggio oggettivo nel suo pontificato. Non è il passaggio dal pontificato al conclave: il conclave è già iniziato da tempo (e certamente dalle cosiddette dimissioni del cardinale Marx) e d’altronde il precedente di Wojtyla, operato anch’egli al colon nel 1992, sconsiglia calcoli di cattivo gusto. Quello che si è consumato al Gemelli è il passaggio dal tempo della possibilità a quello della priorità.
C’è stato un tempo, lungo otto anni, in cui al Papa era concesso di rendere possibile l’impossibile: essere in comunione con Costantinopoli, onorare la riforma di Lutero, dialogare col patriarca di tutte le Russie, riconoscere autorità alle conferenze episcopali, sfidare il presidente Trump, camminare in fraternità con i musulmani, scuotere l’Europa dei diritti, attraversare le divisioni dell’Islam, toccare la disperazione dei poveri, tagliare alberi nella foresta del moralismo, condannare la deterrenza atomica, ridare comunione fra i cattolici cinesi, costringere la chiesa a una sinodalità ignota.
Quel tempo finisce e lascia il posto al tempo delle priorità. Un tempo che Romano Guardini, autore carissimo a Francesco, aveva descritto negli anni 50 in un libro sulle età della vita che ancora oggi parla a e forse di Bergoglio.
Secondo Guardini la vecchiaia che abbia ripudiato il materialismo senile del testardo diventa quella saggezza che nasce «quando l’assoluto e l’eterno penetrano nella coscienza contingente e finita, e da questa gettano luce sulla vita». E nella «attività autentica della vecchiaia», la saggezza «consegue le sue vittorie interiori, la sua persona lascia, per così dire, trasparire il senso delle cose». Chi la vive «non diventa attivo, bensì irradia» e dà alle cose che non domina «un’efficacia particolare». Il nuovo tempo del papato sarà questo.
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