UN ROSARIO DI CANDIDATI CHE IRRITA IL CARROCCIO.

 

La Nota
I l lungo rimpallo sui candidati a Palazzo Chigi tra Forza Italia e Lega ha poco a che fare con la realtà. È sempre più evidente che alla fine toccherà al capo dello Stato, Sergio Mattarella, individuare una figura di compromesso in grado di evitare l’ingovernabilità. Piuttosto, la fioritura dei potenziali premier rientra nella competizione tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini per il primato nel centrodestra. Delineare un profilo significa escluderne altri. E per FI, l’obiettivo è il «no» al capo leghista a Palazzo Chigi.
Il gioco dura da mesi, ormai. Con una certa disinvoltura, Berlusconi ha candidato il presidente della Bce, Mario Draghi; il numero uno di Fca, Sergio Marchionne; e, in modo meno ufficiale, ha espresso un «placet» sia verso l’attuale presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani; sia al ministro Carlo Calenda. È riuscito a evocare perfino un personaggio come l’ex comandante dell’Arma dei carabinieri, Leonardo Gallitelli, finito nel toto-premier senza neanche saperlo; e, da quanto si intuisce, a dir poco amareggiato per essere stato usato in una gara alla quale non ha mai pensato di partecipare.

Ma, in maniera diversa, queste candidature virtuali servono a Berlusconi per additare all’alleato leghista una serie di opzioni che hanno una cosa in comune: l’eventuale capo del governo deve avere stimmate moderate; e possibilmente essere trasversale, in grado di calamitare consensi parlamentari da ogni parte. Si tratta di silhouettes agli antipodi rispetto a quelle di Salvini. E insidiose per il segretario della Lega, perché i sondaggi danno FI in ripresa rispetto al Carroccio: per questo oggi è più cauto sul proprio approdo.

«Decideranno gli italiani se prevarrà l’idea di centrodestra di Berlusconi, che abbiamo provato, o una che abbia un’impronta più coraggiosa, più dinamica», ha dichiarato ieri Salvini. E ha ribadito di avere chiesto al capo di FI «garanzie che chi vota per noi non vedrà mai i suoi voti a sostegno di governi diversi o di sinistra». Insomma, lo scontro è anche sulle alleanze post-elettorali. L’ombra di un patto tra Berlusconi e il Pd di Matteo Renzi non si è dissolta: sebbene sia diventato meno probabile, per il calo di consensi ai dem e per i timori di una spaccatura nei due schieramenti.

L’argomento, però, continuerà a essere utilizzato come arma di propaganda tra le sinistre e nella competizione tra FI, Lega e i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. La Lega sa che qualunque innesto centrista andrebbe a favore di una coalizione più moderata. E infatti intima a Berlusconi di non candidare «chi ha mal governato il Paese in questi anni con la sinistra». È un altolà netto, che però cerca di fissare rapporti di forza in piena evoluzione. Per recuperare una parte dell’astensionismo, non si può solo inseguire il M5S ma cercare consensi dovunque: anche al centro.

 

Corriere della Sera.

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