Mafia, in Toscana non fa rumore. Il procuratore Sirignano: “E’ dovunque”

Mafia, in Toscana non fa rumore. Il procuratore Sirignano: “E’ dovunque”

Firenze – Arriva la mafia in Toscana? No, c’è. E’ vero, non fa rumore, non si vede quasi, ma esiste con interessi forti e facce differenziate, con un ruolo importante delle organizzazioni criminali straniere, in particolare quella nigeriana e albanese. Ma chiedersi se la mafia c’è in Toscana, come dice il sostituto procuratore nazionale antimafia Cesare Sirignano, nel corso di un incontro con la stampa, che si è tenuto oggi, è domanda “antiquata: la mafia è dovunque”. 

Un incontro di inizio anno organizzato dalla Fondazione Antonino Caponnetto con la forte volontà del suo presidente, Salvatore Calleri, in occasione anche del centenario della nascita del grande giudice, che prese il posto di Rocco Chinnici, capo del pool antimafia assassinato in un attentato mafioso, e che chiamò a far parte dello stesso pool i giudici Falcone, Borsellino, Natoli, Di Lello e Guarnotta. L’attività del pool valse a mettere in stato di arresto 400 persone legate a Cosa Nostra e a istituire il maxi processo di Palermo.

Toscana e mafia . “Nel 2006 si è detto che la Toscana non era terra di mafia, ma la mafia c’era; nel 2018 che la Toscana rischiava di essere colonizzata dalla mafia; nel 2020, che la Toscana rischia di essere divorata dalla mafia in silenzio”. E’ così che Calleri sintetizza l’analisi che la Fondazione ha compiuto negli anni circa la vita e gli sviluppi delle mafie in territorio toscano. “Questa è la cosa che ci preoccupa – continua – la mafia è presente in Toscana in modo diverso rispetto ad altre regioni, dal momento che in Toscana la mafia non si comporta come in Calabria, in Campania, in Sicilia o in Emilia Romagna; è silenziosa, sottotraccia. Come farla emergere? Ad esempio, andrebbero fatte verifiche sulle acquisizioni dei locali a Firenze. Stimiamo che il 60% delle acquisizioni nuove andrebbero controllate”.

“Il 2020 sarà per la lotta alla mafia un anno cruciale – dice Calleri che lancia un allarme  – il 2019 non è andato bene, perché, nonostante ci sia stata a fine anno la bellissima operazione di Gratteri che ha colpito il clan Mancuso in Calabria, è anche l’anno in cui è stato messo in discussione il doppio binario. La legislazione antimafia italiana è infatti denominata anche a doppio binario e comprende il 41bis, interdittiva antimafia delle imprese, lo scioglimento dei comuni per mafia. Un colpo è stato dato da una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha dato i permessi premio a chi aveva l’ergastolo ostativo. E questo è un problema, perchè smantella una parte della legislazione, anche se su un caso singolo, e  ha riattivato quelli che noi come Fondazione Caponnetto chiamiamo i promafia, che proveranno, nel corso del 2020, a smantellare il 41bis, le interdittive per le società, e anche lo scioglimento dei comuni (per mafia). Ci sono già segnali che qualcuno proverà a togliere e abolire la normativa anti-mafia”.

I temi che la Fondazione affronterà nel 2020 sono stati delineati dal presidente Calleri: si va dall’agromafia, alla zoomafia (in appoggio alla LAV), al grande nodo dei rifiuti, alla questione dei porti; saranno aggiornati i report su Ostia, Massa Carrara, San Marino, Canada (guerra di mafia); verranno effettuati dei vertici antimafia straordinari: il 22 febbraio a Semiana (Pavia), a metà marzo a Fabriano, il 19 luglio a Castelvetrano, mentre è confermato il vertice finale del 28 novembre a Bagno a Ripoli; verrà trattato il tema degli Stati Uniti d’Europa a Napoli in un apposito vertice che si terrà probabilmente a giugno; verrà portato avanti il progetto Tulipani Rossi per una politica innovativa. I temi che verranno toccati per quanto riguarda la Toscana, saranno: la agromafia con una attenzione ai mercati, in primis di Firenze, la zoomafia (presentazione del rapporto LAV), i rifiuti, i traffici di droga nei porti con una attenzione su Livorno ed altri porti minori, la mafia nigeriana, la mafia cinese, la mafia albanese, le mafie italiane, le acquisizioni commerciali.

Ma è dalla voce di Cesare Sirignano che la realtà delle cosche appare in tutto il suo peso sinistro. 

Le mafie sono dovunque . “Una prima avvertenza, quando si comincia a ragionare di mafie è quella di non affrontarle più settorialmente. Ormai, chiedersi se la mafia ci sia o non ci sia in Liguria, in Emilia Romagna, in Sardegna, in Toscana è un discorso antiquato, perché dopo averne analizzato le evoluzioni, dobbiamo  sganciarci dai concetti di territorio di radicamento, territorio di investimento, dobbiamo affrontare il fenomeno per come lo abbiamo già ricostruito. La mafia c’è dovunque, non soltanto in Italia e non è un luogo comune, è un dato di fatto. Si può manifestare in maniera diversa, ma ne è fisiologica  l’espansione, perché quando la mafia ha bisogno di agire con violenza, per controllare il territorio e svolgere e esercitare le attività che presuppongono il controllo del territorio, traffico di stupefacenti, gioco clandestino, prostituzione, è chiaro che è lì che si concentra la risposta dello Stato in termini di polizia giudiziaria e di indagine. Ma la mafia non è solo quello, è anche investimento. E’ da 50 anni che lo scopo delle mafie non è il controllo di un territorio o l’esercizio di un potere, ma l’arricchimento. E’ chiaro che queste disponibilità finanziarie devono essere poi impiegate in qualche altro luogo. E’ difficile che ciò avvenga dove il fenomeno mafioso è radicato, perché è lì che insiste il maggiore controllo e la maggiore possibilità di collegare il capitale all’organizzazione che lo spende e lo investe. E’ un po’ vecchia davvero questa ricerca di dove è la mafia e se c’è. Tutte le regioni sono interessate dal fenomeno mafioso nel suo complesso”.

La penetrazione delle mafie in Toscana avvengono  attraverso i soldi – “E’ chiaro che la Toscana non è un territorio di mafia nel senso di organizzazioni strutturate che hanno una gerarchia in Toscana, dove la ramificazione delle mafie è avvenuta attraverso i soldi: investimenti, acquisizione di imprese, costituzione di imprese che sono serventi all’intercettazione di risorse pubbliche in altre regioni  o anche in Toscana – spiega Sirignano – dunque, dobbiamo pensare in questi termini: il fenomeno mafioso, nelle sue diverse esplicazioni, è presente in tutta Italia. E non è meno pericoloso se in una regione si manifesta in silenzio. E’ vero che molte persone si saranno avvantaggiate del capitale mafioso perché non hanno chiuso l’azienda, non hanno licenziato persone, ma è altrettanto vero che inquinare l’economia con capitali mafiosi significa semplicemente perdere la libertà”. La libertà d’impresa, ma anche le libertà di tutti i giorni, dice il magistrato, perché da questo insinuarsi parte la strategia caratteristica delle mafie, vale a dire inserirsi negli apparati pubblici, nella politica e quindi giungere a controllare la vita di tutti quanti, la vita sociale ed economica del Paese. “Non possiamo dubitare ancora che ciò avvenga, e che ciò avvenga in tutti i luoghi dove il capitale mafioso entra, quindi in tutti i posti, poiché non c’è un luogo dove il capitale mafioso non viene accettato”.

Toscana e capacità di resistenza – . “Ogni regione ha una sua capacità di resistenza al capitale mafioso – continua il procuratore –  credo che la Toscana ce l’abbia, questa capacità, tant’è vero che non ci sono state grandissime manifestazioni da questo punto di vista come accaduto in altre regioni”. Insomma, dice il procuratore, siamo ancora in quella fase storica in cui l’economia non è completamente mafiosa (fenomeno da cui è molto difficile, se non impossibile, liberarsi) ma si può ancora intervenire preventivamente. Come? Rafforzando la resistenza civica, coltivando la consapevolezza e la conoscenza nelle persone, dicendo con chiarezza che in Toscana c’è la mafia e c’è anche la mafia straniera, non solo quella nazionale.

Le mafie straniere – Compito duro, la difesa, che è ancora più complicato per le mafie straniere, perché scatta immediatamente il legame con l’immigrazione  e quindi la solidarietà di questi nostri territori. “Solidarietà che deve esserci e non può mancare, per un popolo civile è sicuramente una delle priorità di civiltà – dice Sirignano – però se arrivano in Italia masse di centinaia di migliaia di persone che non hanno lavoro, che provengono da territori dove vige la fame, in pratica quasi tutti sforniti dei minimi termini culturali per poter entrare nel mondo del lavoro, operazione già difficile per un italiano, è chiaro che si trasformano in terreno fertile per la criminalità. Il fenomeno dell’immigrazione – continua il procuratore – è strettamente collegato a quello della criminalità. Stiamo assistendo da anni a un aumento esponenziale della criminalità straniera, africana e in particolare nigeriana, ma anche albanese, che investono specificatamente anche la Toscana”. Perché la Toscana non è territorio di mafia nel senso che vi si trova la struttura gerarchicamente organizzata, ma è un territorio in cui si stabilizzano e si radicano comunità (da quella albanese, alla cinese, nigeriana…) all’interno delle quali, è giocoforza,  vi è anche chi delinque. E se chi delinque riesce ad avere un continuo aumento della manodopera criminale, è chiaro che acquista forza rispetto a territori dove il controllo, per ragioni storiche, è più stringente.

Cosche albanesi – “La criminalità albanese e nigeriana sono sul territorio toscano le forme più allarmanti – spiega il procuratore – perché il traffico di droga, che è una delle attività di queste cosche, vede da un po’ di tempo in prima linea proprio organizzazioni che controllano i porti. I porti liguri e toscani sono diventati, per una strategia delle organizzazioni criminali soprattutto calabresi, i luoghi in cui arriva la droga. Soprattutto la cocaina, ma non solo e non sono poche le operazioni che hanno visto la collaborazione delle procure calabresi con quelle toscane e liguri, dal momento che ingenti quantitativi di cocaina arrivano con le navi. Il motivo per cui sctta l’allarme, criminalità albanese in questo caso, è dovuto al fatto che la manovalanza in questi porti è per lo più albanese. Sono infatti quelli che si sono inseriti in questo meccanismo, controllando il carico e scarico merci”. Si è quindi costituito un rapporto sinergico, ormai acclarato e pubblico, fra calabresi e albanesi, circa il trasporto, l’arrivo, lo scarico e il carico droga nei porti, liguri e toscani. “Si tratta – dice ancora il procuratore – di gruppi di criminalità organizzata albanese che hanno basi non solo in Toscana, ma anche in altre parti d’Europa e persino in Sudamerica”. Insomma, capaci di creare un canale di approvigionamento droga  autonomo persino rispetto alla ‘ndrangheta, che è la realtà criminale “leader” nel settore, almeno in Italia.

Cosche nigeriane – Mafia nigeriana, ormai le sentenze che hanno accertato la caratterizzazione mafiosa di queste organizzazioni sono innumerevoli. I clan sono numerosissimi, ma il tratto caratterizzante è la strutturazione: si tratta di strutture gerarchiche come quelle nazionali, spiega Sirignano, con un capo che, dice il procuratore, “nell’ambito delle attività che abbiamo potuto riscontrare risiede quasi sempre a Roma, mentre molti dei soggetti che hanno ruoli decisivi si trovano in Nigeria, dove è difficile individuarli e arrestarli. E’ una mafia che si alimenta quotidianamente attraverso nuovi arrivi, che ha come codice quello della violenza, violenza anche nei confronti dei propri aderenti e che prevede addirittura il pagamento di una tassa per essere affiliato”. I denari dei proventi criminosi vengono inviati in Nigeria spesso attraverso dei money transfer, con modalità raffinate, che ne ha spesso consentito l’invisibilità.  C’è poco da rallegrarsi, insomma, se anche le mafie straniere scelgono l’Italia per stabilizzarsi e strutturarsi.

Il trasporto, il cuore del business – Agromafie e rifiuti, “L’elemento in comune? Il trasporto” dice Sirignano. “Per molti anni a Napoli mi sono occupato, partendo dal clan dei casalesi, di monopolio dei trasporti sul territorio nazionale. I tir che quotidianamente circolano sul territorio nazionale trasportano di tutto, armi, cocaina, hashish, rifiuti. E molte delle ditte, e ormai le mafie l’hanno capito, si rivolgono a delle società che funzionano da broker, che hanno il monopolio e funzionano come agenzie di trasporto ma decidono loro chi deve trasportare e cosa deve trasportare, per far circolare in Italia sia beni leciti, come i prodotti ortofrutticoli, sia quelli illeciti, come armi, droga e rifiuti. Controllare il trasporto su gomma in Italia significa controllare una parte importante dell’economia. In questi settori si è verificato ed è stato accertato un fatto su cui dobbiamo cominciare a lavorare di più, anche in termini di indagini, vale a dire gli accordi fra le organizzazioni criminali”.

Gli accordi delle mafie – Insomma, le organizzazioni criminali ormai non si contendono più il territorio. “Riescono a gestire i servizi insieme – spiega il procuratore – la parte significativa, quella del trasporto, è diventata una gestione congiunta, non c’è più contrapposizione. Accordi che possono nascere in carcere, per questo è importante mantenere il 41bis come è stato creato, e rapporti che nascono nei territori, come  anche in Toscana”. Il fenomeno mafie va affrontato dunque da un’ottica diversa, perché le mafie sono diverse.  E sono molto avanti. Basti pensare che, come spiega il procuratore, il monopolio dei trasporti ad esempio dell’ortofrutticolo, unendosi al monopolio dell’acquisto dei prodotti agricoli coltivati in Sicilia o  in Campania, ad esempio, consente ovviamente alla criminalità organizzata di decidere i prezzi, sottaendoli così al mercato. L’accordo sui trasporti delle cosche siciliane e campane consente dunque di mantenere una certa economicità ai viaggi più un’indiscusso monopolio sul mercato. Chi ci va di mezzo, è ovvio, è il produttore, che spesso non viene pagato neppure il prezzo della produzione. Del resto, se non vende alla mafia, nessuno compra il suo prodotto. E se il prodotto non viene trasportato dalla mafia, nessuno lo trasporterà. E la logica si ripete uguale anche per i rifiuti.

Rifiuti e Toscana – Per quanto riguarda in particolare la Toscana, sembrerebbe, rispetto a quanto è stato accertato, che sia più terra, come dice Sirignano, “di organizzazioni in grado di smaltire che non luogo di smaltimento. Però temo – conclude il procuratore – che questo accertamento sia solo parziale, in quanto, chi è stato in grado negli anni di gestire il trasporto dei rifiuti dalla Toscana, un trasporto non solo regionale ma che calamitava tutto il Nord,  questa sorta di massoneria dei rifiuti insomma, non sia morta, ma ci sia un sotterraneo che noi non riusciamo a intercettare. Un business che rende tantissimo, perché ripeto, si tratta di un monopolio del trasporto: intanto, assicura all’imprenditore che ha bisogno di smaltire, una società che sia in grado di farlo a basso costo; in secondo luogo però bisogna che ci sia un’ampia possibilità di acquisire clienti, per assicurare, a sua volta, il guadagno a chi gestisce il trasporto”. Insomma veri e propri cartelli. Ma infine, dove finiscono i rifiuti? Di fatto, non è  dato saperlo con certezza. “Temo che ci siano interi territori che sono stati sacrificati – conclude Sirignano – e che probabilmente non sapremo mai”. Come probabilmente non sapremo mai dove sono finiti i rifiuti che magari sono stati “smaltiti” in mare. Anche perché si apre un altro scenario: intanto, le indagini epidemiologiche potrebbero anche servire da mappatura del territorio, ma una volta scoperta e riaperta una tombatura di rifiuti, per quintali inimmaginabili, è necessaria la bonifica, vale a dire, spese.