Il Pd da Ercolano a Enna Quando i potentati locali imbarazzano Renzi.

di Massimo Rebotti

Per Matteo Renzi, Luca Lotti è l’uomo delle missioni difficili, colui che mette il sigillo del segretario sulle situazioni da risolvere.
Venerdì scorso Lotti è andato in Campania, una regione che da tempo impensierisce il vertice del partito (le primarie che hanno incoronato Vincenzo De Luca, per dirne una, sono state rinviate per quattro volte prima di essere svolte). Ad Avellino l’emissario di Renzi ha detto due cose: «De Luca è il candidato del Pd; lui ha vinto le primarie e tutti sapevano chi andavano a votare». Il caso del sindaco di Salerno (con una condanna in primo grado per abuso d’ufficio) sospeso, poi reintegrato, poi ancora sospeso, è quindi chiuso: il candidato è lui. Ma non per questo la Campania ha smesso di preoccupare Renzi.
Il caso più imbarazzante in questi giorni è a Ercolano: la sede locale del Pd è occupata per protesta contro la decisione di indicare da Roma il candidato sindaco. La mossa si era resa necessaria per due ragioni: sul circolo di Ercolano c’è un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia e due dei pretendenti pd alla poltrona di primo cittadino si erano già dovuti ritirare perché indagati per corruzione e turbativa d’asta. Insomma, a Roma hanno ritenuto che ce ne fosse abbastanza per intervenire, ma a Ercolano si sono ribellati: qui decidiamo noi. È la spia di una difficoltà più generale: le situazioni locali sfuggono sempre più spesso al controllo del partito centrale. A Giugliano (terzo comune della Campania per numero di abitanti), a marzo ci sono state le primarie, «una vera festa di popolo» secondo il Pd locale con oltre diecimila votanti. Il vincitore, Antonio Poziello, quasi 4 mila preferenze, tra qualche giorno rischia di essere rinviato a giudizio per associazione a delinquere. Renzi è intenzionato a intervenire, come per Ercolano, e sostituire il candidato, magari già sabato quando è atteso a Pompei. E chissà se poi qualcuno non si ribella anche qui.
Poco lontano, a Pomigliano d’Arco, il problema era stato risolto alla radice: le primarie, vinte con uno scarto di tre voti sono state annullate nel caos (la Casa del popolo fu anche occupata da un gruppo di cassintegrati mentre la gente era in coda per votare). E anche in questo caso il Pd locale ha protestato per il voto «usurpato».
In Sicilia, ad Agrigento, un caso più unico che raro: le primarie del centrosinistra le ha vinte (oltre duemila preferenze) un candidato indicato da un deputato di Forza Italia. Imbarazzo, polemiche, il presidente del Pd siciliano Marco Zambuto che si deve dimettere dopo che si viene a sapere di un suo incontro riservato con Berlusconi che, secondo i suoi oppositori, servì proprio per definire quell’insolita candidatura. Alla fine il Pd disconosce il risultato, ma i tormenti non finiscono. Indica come candidato sindaco l’ex presidente della Regione, Angelo Capodicasa, che però poco dopo si ritira. A Enna, se possibile, la faccenda è perfino più rognosa: in discussione non c’è, come ad Agrigento, una candidatura tanto spregiudicata da risultare imbarazzante, ma un pezzo di storia (controverso) del Pd, e prima ancora del Pci, siciliano.
Vladimiro Crisafulli, che nel 2013 il comitato nazionale dei garanti pd considerò «non candidabile» alle Politiche a causa di diversi trascorsi giudiziari, decide di correre come sindaco. A Roma il vicesegretario Debora Serracchiani avanza dei dubbi e Crisafulli, 65 anni, davanti all’assemblea cittadina del Pd, piange: «Ho dedicato la vita a questo partito». Di sé una volta disse: «Io a Enna vinco sempre, con il maggioritario, il proporzionale e pure con il sorteggio», e anche questa volta, visto che «i voti ce li ha lui» (per diventare segretario ha ottenuto un surreale 98,5%), dovrebbe spuntarla.
In giro per l’Italia di casi difficili per il Pd, tra infiltrazioni criminali e primarie contestate, ce ne sono altri. Macroscopico quello di Roma, il partito è commissariato ed è stato descritto dall’ex ministro Fabrizio Barca, incaricato di una mappatura dei circoli, come «pericoloso» e in preda «alle scorribande dei capibastone».
È politica invece la questione in Liguria dove la candidata alla presidenza Raffaella Paita ha ricevuto alle primarie l’appoggio di esponenti del centrodestra. Sergio Cofferati, che fu sconfitto, denunciò irregolarità e la commissione dei garanti decise di annullare oltre cinquemila voti per gravi anomalie. Paita risultò comunque eletta e Cofferati lasciò il partito, annunciando che avrebbe portato in Procura i verbali dei seggi. Di quell’eventuale strascico giudiziario per il momento non si è saputo più nulla ma, c’è da scommetterci, il tema delle primarie «inquinate» tornerà d’attualità con la campagna elettorale e il duello che si preannuncia a sinistra.