LE TRAVI CHE ACCECANO L’ITALICUM.

Aprile è il mese più crudele, diceva Thomas Eliot. Quest’anno la sua crudeltà s’esercita sulla legge elettorale. Mercoledì scorso è iniziato l’esame in Commissione; il 27, giorno di paga, a pagare sarà l’Aula. Ma dov’è la cattiveria dell’ Italicum ? Non nel suo concepimento, benché uno dei due genitori (Berlusconi) l’abbia ripudiato. Dopotutto, senza questa nuova creatura, dovremmo allattare quella vecchia: un proporzionale super (il Consultellum ), che a sua volta allatterebbe mille partitini in Parlamento. È la sua gestazione, tuttavia, a procurarci il mal di pancia. È la traduzione dei principi in regole. Perché regole fasulle possono ben falsificare ogni valore, tramutarlo in disvalore.
Da qui l’allarme suonato dalla minoranza del Pd. Preoccupazione giusta, ma per ragioni sbagliate. Dicono: sommando la nuova legge elettorale all’abolizione del Senato, s’avvia una deriva autoritaria. Troppo governo, poco Parlamento. Dunque senza correttivi all’Italicum non voteremo la riforma della Carta. E no, non è la Costituzione che diventa incostituzionale a causa della legge elettorale, ma casomai l’opposto. Bisogna distinguere i due piani, altrimenti si cade dalle scale. Ri-dicono: i capilista bloccati sono una vergogna, dateci le preferenze. Come se non fossero ancora una volta una vergogna i 26 mila voti di preferenza incassati da Fiorito (scandalo dei gruppi consiliari in Lazio) o gli 82 mila di Ferrandino (scandalo delle Coop di Ischia). Come se le preferenze plurime non fossero già state introdotte dall’ Italicum , insieme alle pluricandidature. Anzi: l’abuso delle seconde favorirà l’uso delle prime.

Se vengo eletto in 10 collegi come capolista, poi dovrò sceglierne uno; sicché gli altri 9 posti al sole andranno ai candidati più votati.
Ma loro vedono la pagliuzza, non la trave. Invece entrambi gli occhi di questa legge elettorale vengono accecati da due travi: di merito e di metodo. Perché in primo luogo alleverà un gigante con tanti cespugli, per riprendere l’espressione di Antonio Polito ( Corriere , 8 aprile). L’ Italicum premia il partito vittorioso, determina l’investitura diretta del premier, però con una soglia d’accesso al 3% spegne l’opposizione, la frantuma, le impedisce ogni funzione di controllo. Il voto diventa un plebiscito, il plebiscito muta i parlamentari in plebe. E perché in secondo luogo la legge è viziata anche nel metodo, dato che s’applica a una Camera, quando il Parlamento ne ospita ancora due. La clausola di salvaguardia — che posticipa i suoi effetti al 1º luglio 2016 — è un ombrello bucato: nessuno può garantirci che a quella data la riforma del Senato sarà approdata in porto. E allora avremmo un sistema stralunato, con due Camere armate l’una contro l’altra, un maggioritario di qua, un proporzionale di là.
La via d’uscita? Non certo un voto di fiducia, per blindare l’ Italicum zittendo le opposizioni in Parlamento. C’è un precedente, è vero: De Gasperi nel 1953, rispetto alla «legge truffa». Pessimo precedente, dato che la materia elettorale si coniuga alla materia costituzionale, secondo l’articolo 72 della nostra stessa Carta. E poi sarebbe come ammettere che la truffa si ripete, quando basterebbero un paio di correzioni per disarmare il truffatore. In primo luogo mettendo nero su bianco che la nuova legge elettorale entrerà in vigore soltanto dopo la cancellazione del Senato elettivo. E in secondo luogo alzando la soglia al 5%, come in Germania. O anche, perché no?, battezzando un premio di minoranza, per il partito che arrivi secondo in campionato. Così il potere incontrerà un contropotere. Renzi ha in gran sospetto ogni modifica, perché teme il riesame del Senato. Ma all’esame di Stato troverà comunque Mattarella, e dopo di lui pure la Consulta. Meglio evitare bocciature.
Michele Ainis