Un mondo così reale da avere ispirato uno sceneggiato, chiamato appropriatamente “McMafia”, sulla seconda e terza generazione della criminalità organizzata di tutte le Russie, quella che vuole ripulirsi, agire alla luce del sole, fino a un certo punto. Nel gennaio scorso il Congresso americano ha pubblicato una lista di russi che, pur senza essere accusati di reati, potrebbero diventare oggetto di sanzioni. Almeno una decina figurano nell’elenco dei 100 più ricchi della terra della rivista Forbes. E sono tutti qui. Il più noto è Roman Abramovich, il petroliere che fece fortuna negli anni della presidenza di Boris Eltsin e nel 2003 è salito alla ribalta acquistando il Chelsea Football Club: 11 miliardi di dollari di patrimonio, casa vicino a Kensington Palace, la residenza di William e Kate, Harry e Meghan, strettamente legato a Putin, per il quale ha governato una piccola regione autonoma in Siberia. Non da meno è Oleg Deripaska, magnate dell’alluminio, anche lui arricchitosi nel “furto del secolo”, come un libro soprannominò il programma di privatizzazione selvaggia nella Russia post-comunista: sul suo yacht sono stati ospiti lord Mandelson, stratega di Blair, e l’allora ministro del Tesoro conservatore George Osborne.
A proposito di Osborne: non più ministro, ora dirige l’Evening Standard, uno dei due quotidiani britannici (con l’Independent) di proprietà di Aleksandr Lebedev, ex agente del Kgb, un tempo capo dell’ufficio spie presso l’ambasciata russa di Londra, adesso presidente della Fondazione Raissa Gorbaciov e sostenitore dell’ex uomo della perestrojka. C’è Arkadij Rotenberg, che dava lezioni di judo a Putin e l’anno scorso ha battagliato in un tribunale londinese per un divorzio miliardario dall’ex moglie Natalia Nikolaeva, mentre il fratello Boris, altro oligarca, abita a Kensington in una villa da 5 milioni di sterline. Spiccioli per Andrej Guriov, già proprietario di Withanhurst, seconda più grande residenza del Regno Unito (la prima, per intendersi, è Buckingham Palace), che poi ha comprato una penthouse di cinque piani da 50 milioni di sterline in cima al nuovo grattacielo di Vauxhall: così grande da costruirci dentro anche una cappella russo ortodossa. Alisher Usmanov, capitale di 13 miliardi, ha il 30 per cento dell’Arsenal Football Club. Igor Shuvalov, vicepremier russo, ha un palazzo con vista sul ministero della Difesa britannico. Complessivamente, si calcola che gli investimenti russi in Gran Bretagna superino i 30 miliardi di sterline, a cui aggiungere 15 miliardi di titoli di banche inglesi. La Bp possiede il 20 per cento di Rosneft, colosso energetico russo. La Tate Gallery ha intitolato al filantropo miliardario Len Blavatnik una nuova ala. E a Londra sono russi il 2 per cento degli acquirenti di case di lusso.
Luke Harding, il giornalista del Guardian autore di Collusion, sostiene che Downing Street doveva congelare o sequestrare una parte di questa immensa ricchezza, se voleva fare davvero male a Putin. È lo stesso consiglio che da Mosca manda Aleksej Navalnij, il principale oppositore del leader del Cremlino. “Noi siamo uno Stato di diritto, non perseguiremo i russi che agiscono legalmente nel nostro Paese”, ha risposto ieri in Parlamento Theresa May. Ce ne sono tanti che lavorano onestamente, fra i 200 mila e più immigrati di Londongrad. Ma quella di ieri è soltanto la prima mossa. Tempo e pazienza, l’ammonimento di Tolstoj in Guerra e pace, diranno come finirà questa partita avvelenata dal gas nervino.