Il critico in mostra

È stato attore di fotoromanzi e personaggio dei fumetti si è fatto fotografare in tutù e ha polemizzato con tutti Ora, a 82 anni, è protagonista al Castello di Rivoli
di Gregorio Botta
Gli è sempre piaciuto mettersi in mostra con l’aria divertita di un puer sfrontato, di un narciso impudente: dallo scatto che lo riprende in tutù fino alle foto nude su Frigidaire ( set ripetuto per ben tre volte, l’ultimo alla tenera età di 72 anni). Ma è stato anche attore in fotoromanzi, personaggio di fumetti, protagonista di innumerevoli polemiche, nonché il più dipinto dei curatori italiani: la collezione di suoi ritratti donati dagli artisti è impressionante.
« Ho dato un corpo alla critica d’arte » rivendica con orgoglio Achille Bonito Oliva. Quindi deve essere un sogno che si avvera essere messo in mostra addirittura in un museo e diventare finalmente, a 82 anni, “ curatore e curato” – come si autodefinisce in questo caso – soggetto e oggetto dell’esposizione che gli dedica il Castello di Rivoli fino al 9 gennaio. A. B. O. Theatron. L’arte o la vita ( mai titolo fu più azzeccato) è infatti ideata da lui stesso e dalla direttrice del museo Carolyn Christov- Bakargiev, con il coordinamento curatoriale di Andrea Viliani.
A dire il vero Abo è stato quasi sempre « curatore e curato » : nel senso che ha avuto un posto in prima fila in tutte le mostre che ha allestito, facendo accendere i riflettori su di sé oltre che sulle opere selezionate. Primo attore in tutti i sensi, ha spinto alle estreme conseguenze il ruolo che alcuni critici hanno svolto sul finire del secolo: in un’epoca di «arte espansa» (definizione di Perniola), di moltiplicazione di linguaggi, di Babele estetica, sono diventati i profeti che indirizzano gli sguardi, antevedono tendenze e tracciano mappe culturali cercando qualche ordine nel caos contemporaneo.
Per questo ha un senso il ciclo di mostre che Rivoli dedica loro ( la prima è stata per Szeemann, la prossima per Enwezor). E si capisce che nel Theatron abbiano posto i cimeli di una lunga sovraesposizione: tra quadri, foto, pagine di giornali, spezzoni di trasmissioni tv, un’ala della mostra è dedicata alla caleidoscopica rappresentazione di una vita esagerata. Un’altra è occupata invece dal ricchissimo archivio ( carteggi, dattiloscritti, documenti già « insospettabilmente ordinati » , dice Viliani) che è stato donato per l’occasione al museo.
Ma il cuore dell’esposizione sono – ovviamente – le mostre: un breve viaggio nella storia dell’arte degli ultimi decenni. A cominciare da Amore mio ( Montepulciano 1970) e Vitalità del negativo, ( Roma, 1970) che segnano l’inizio di progetti in cui la « scrittura espositiva » – pallino di Abo – è protagonista. E poiché lo spazio che accoglie le opere non è neutro, il critico si rivolge all’architetto per modificarlo ( a Rivoli ci sono anche i bei plastici creati dallo studio Sartogo). La rottura più eclatante arriva nel ‘73 quando il parcheggio sotterraneo di Villa Borghese appena costruito diventa un museo momentaneo: Contemporanea ospita – oltre a molti italiani – artisti internazionali come Beuys, Bob Wilson, George Segal, Wolf Vostell, Ben Vautier e Christo che per l’occasione impacchetta Porta Pinciana.
È lo spirito dei tempi e diventerà la cifra di Bonito Oliva: togliere l’arte dai luoghi deputati, portarla a confliggere con realtà urbane insospettabili, moderne come le stazioni della metropolitana di Napoli o antiche come le Mura Aureliane. O come i Magazzini del Sale, che per la prima volta aprono i battenti all’arte in occasione della Biennale di Venezia dell’80. La mostra, curata con Szeemann, s’intitola Aperto perché apre alle nuove leve della scena italiana e internazionale, e qui fanno la loro apparizione Chia, Clemente, Cucchi, De Maria e Paladino: sono i cinque campioni del ritorno alla pittura selezionati da Abo per lanciare la Transavanguardia. Definizione di gran successo ( « l’artista è creatore, il critico è creativo » ), che evoca il postmoderno, ma lo corregge: « Non credo alla fine del moderno, trans sta per attraversamento, transizione, nomadismo » .
Ai cinque è destinato un posto d’onore a Rivoli, con una grande sala che ospita i migliori lavori custoditi dal museo. Tra di essi un bellissimo De Maria ( I fiori salutano la luna) e un delizioso Paladino d’impronta matissiana ( Silenzioso. Mi ritiro a dipingere un quadro). Sono però moltissimi gli artisti esposti, da Penone a Boetti, da Mauri a Acconci, e poi Kounellis, Pistoletto, Mambor, Carol Rama, Schifano, Merz e infiniti altri. Compagni di strada eterogenei e diversi che spesso Abo ha selezionato per tracciare la sua mobile e fluttuante visione del mondo.
C’è però una mostra sorprendente che tesse un filo sottile in tanta fluidità estetica e lega i più distanti artisti italiani: da Balla a Agnetti, da Spalletti a Piacentino, da Lo Savio a Paolini, per dire. Uniti nella ricerca di forme essenziali, semplici ma complesse, profonde ma minime. Create sotto l’aureo motto di meno è meglio. Un azzardo interpretativo, ma seducente e convincente: tanto che Minimalia – questo era il titolo – è stata inaugurata a Venezia nel ‘ 97, replicata a Roma nel ‘ 98 e ospitata infine al P. S. 1 di New York nel ‘ 99.
Nella classifica delle sue mostre preferite, Achille Bonito Oliva la mette al terzo posto. Al secondo c’è Contemporanea. E al primo? « Questa di Rivoli, naturalmente » .
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