I Moderati in attesa della controrivoluzione.

di Antonio Macaluso

 

Sono in molti in queste settimane a mettersi in coda per sfilare al funerale dei moderati italiani. Serbatoio di voti che ha permesso alla Dc di governare — sotto varie forme — per l’intera Prima Repubblica, si sono ritrovati dal ’94 nel blocco sociale costruito da Silvio Berlusconi all’alba della Seconda repubblica. L’avvelenato tramonto di quest’ultima, con i populisti-sovranisti del M5S e della Lega che guidano il governo a fronte del progressivo sgretolamento di Forza Italia e — sul fronte opposto — del Pd renziano, dovrebbero essere la dimostrazione plastica della fine del moderatismo.

Ma davvero quel sistema politico-sociale trasversalissimo, mite, temperante, morigerato può dirsi scomparso per sempre dal dna dell’italiano medio? Davvero la forza tranquilla di un Paese mai tranquillo si è trasformata in un popolo di arrabbiati, di urlatori, di famelici giustizialisti? Quanto veleno si è accumulato, lentamente, nelle ghiandole di donne e uomini, ragazzi anche, tale da pretendere la fine di una intera architettura organizzativa, da voler cancellare leggi a grappoli ed estirpare l’Europa dall’Italia come fosse gramigna parassita?

Eppure, il quadro è questo. Qualcuno ci legge l’esuberanza positiva, magari un po’ mattacchiona e ingenua, tipica di ogni giovane movimento ribellista. Altri vivono il momento come cupo presagio di imminenti sventure, impauriti, attoniti, inorriditi perfino.

Non è il momento della moderazione, eppure i moderati ci sono, un po’ carbonari, un po’ pessimisti, ma ci sono.

In molti li bollano come quelli che vogliono mantenere un sistema che li ha premiati, favoriti, fatti ingrassare. Lo stesso Eugenio Scalfari ha bollato i moderati in politica come conservatori. Ma con i tempi, mutano anche i significati delle parole, il loro senso comune. I moderati in un Paese di moderati possono essere, sì, conservatori. Ma in un’Italia movimentista, pacificamente revanscista, sono cosa diversa, sono la resistenza ragionante ai nipotini (spesso ignoranti) di Robespierre. Una volta rotolavano le teste, oggi i vitalizi e le super-pensioni. Obiettivi anche giusti, ma vissuti in un clima di odio di classe.

L’invidia sociale che anima almeno una parte degli elettori grillini è la benzina che ha spinto il movimento alla vittoria ma che rischia di incendiare un intero sistema, anche il buono che vi è dentro. È per questo che le forze moderate, presenti oggi solo grazie a sporadiche incursioni di pochi coraggiosi anticonformisti, potrebbero tornare a vincere o almeno ad esercitare un contropotere reale. Paradossalmente potrebbe essere proprio la controrivoluzione dei moderati a ridare un equilibrio duraturo a una comunità in balia di molti annunci e promesse sfavillanti e qualche provvedimento fumogeno inviso perfino a pezzi di governo.

Era solito ripetere Otto Von Bismarck che i tre segni di grandezza sono la generosità nel pianificare, l’umanità nell’eseguire, la moderazione nel successo. Qualcuno deve aver studiato poco o comunque non abbastanza se ritiene che i muscoli della lingua siano più importanti di quelli del cervello, almeno per ottenere nel breve credibilità e consenso.

Gianroberto Casaleggio diceva che l’accumulo di denaro non va d’accordo con la democrazia. Chi concentra molto denaro, può influenzare la società, piegare la politica e quindi — ammoniva — la gestione della cosa pubblica ai suoi interessi. E questo ha certamente un fondamento. Ma non per questo bisogna pianificare l’assalto al capitale, la brutalizzazione (ulteriore) della borghesia, l’introduzione di un neoparassitismo da reddito-elemosina. Difficile pensare che, per quanto delusa e nauseata da un passato politico inetto, la maggioranza di questo Paese sia disposta a rinunciare all’idea di uno Stato dinamicamente moderno per il quale si sono battute intere generazioni. E se così fosse, quando le tossine avvelenate si saranno depositate sotto i nostri passi, come polvere di strada, i moderati — se sapranno essere capaci, intelligenti, inclusivi — avranno una nuova occasione. Compresa quella di accogliere come alleati e non come sconfitti gli sciovinisti delusi di un mondo che la storia ha ripetutamente archiviato.

 

Fonte: Corriere della sera, https://www.corriere.it/