Eugenio Giani voleva fare il sindaco di Firenze. Adesso è il candidato del centrosinistra – operazione che unisce Zingaretti e pure Lotti e Renzi – per la Regione Toscana. Ci si adatta. Alla quinta legislatura da consigliere a Palazzo Vecchio patì la rottamazione di Matteo Renzi e non fu confermato assessore, però scrisse Firenze giorno per giorno, un almanacco spesso saccheggiato dal giovane sindaco che proveniva dal contado e curava la propaganda autoctona. Alla vigilia della sesta legislatura, stava quasi per scoccare il quarto di secolo in municipio, Giani era pronto, in uno di quei completi fresco lana e cravatta assai lunga con cui officia più cene a sera, ad agguantare il testimone di Renzi ormai primo ministro. Il deputato Dario Nardella, peraltro con origini campane e pare tifoso del Napoli, era in servizio a Roma e all’esordio comunale prese la metà dei voti di Giani, che qui viene chiamato il Giani o l’Eugenio o l’Eugiani per fare presto. Finì con Renzi che indicò Nardella. E Giani cindolò per settimane con le promesse di Matteo, vieni a Roma come sottosegretario con delega allo Sport o come capo del credito sportivo, vieni con noi a Roma che si governa assieme.

Nato per caso a Empoli nel ’60, cresciuto a San Miniato, provincia pisana che si mescola con la fiorentina, si trasferì per le elementari a Firenze con il padre ferroviere, la mamma morì a trent’anni, studente e dirigente socialista, gruppo Riccardo Lombardi e non Bettino Craxi, democratico con Walter Veltroni del più siamo meglio stiamo contro il meno siamo meglio stiamo di Italia Viva di Renzi o di una canzone di Renzo Arbore, ex capo di Firenze Parcheggi e del museo di Dante, ancora delegato provinciale per il Coni e seguace di Giovanni Malagò, per un momento – tra il 2014 al 2015 – Giani ha temuto di raggiungere la pensione all’ufficio affari legali di un’azienda sanitaria locale dove entrò con concorso da ragazzo e dove mancava dal ’97. Poi ha trovato conforto sulla prestigiosa cadrega di presidente del consiglio regionale e Firenze giorno per giorno è diventata Toscana giorno per giorno per accordare la memoria popolare con l’aspirazione personale. E ogni giorno, per i toscani, in coda al telegiornale di Italia 7, Giani racconta una ricorrenza, un aneddoto, un personaggio e fa campagna elettorale a costo zero. Il 7 febbraio è toccato al comune aretino di Poppi col cammino di San Romualdo al monastero di Camaldoli.

Renzi optò per la fondazione Open, dismessa un paio di anni fa e oggi al centro di un’inchiesta giudiziaria, invece la scalata al potere di Giani è supportata da un’associazione, si chiama Laboratorio Toscana, la gestisce l’avvocato Leonardo Lascialfari, compagno di università e di pratica forense nello studio di Alberto Predieri. Lascialfari ha una carriera con una miriade di incarichi, da segnalare un mandato nel cda di FidiToscana, una società di servizi finanziari per le imprese di cui la regione è azionista al 46 per cento, segue la banca Mps con il 27. Fu la regione a nominare Lascialfari. Laboratorio Toscana raccoglie le donazioni per Giani, la più rilevante – 20.000 euro – è di Aboca spa, azienda agricola toscana del settore omeopatico e farmaceutico.

Giani ha una stanza al palazzo del Pegaso con due affreschi alle due pareti più ampie e centinaia – non è un modo di dire – di cornici, targhe, spille, coppe, bandiere, in mezzo tre cartine geografiche toscane, una fisica, una politica e una storica col Granducato. “Questa me l’hanno dedicata a Santa Maria a Monte per la sagra della patata tosca, questa in Lunigiana a Pondenzana per i panigacci. Guardi lì, in alto a destra, è la mia colonna santa”. Un crocifisso ligneo; la Madonna di Montenero patrona di Toscana; la Madonna che allatta il bambino, iconografia classica di Magliano di Grosseto; una robbiana con l’annunciazione a Maria del santuario di Chiusi a Verna. Eugenio Giani si piace molto e ha una maledetta voglia di piacere a tutti. Quest’anno che sente odore di urne, a Capodanno, s’è tuffato tre volte nell’Arno con un costume prebellico con i colori dei canottieri fiorentini e della Regione Toscana. Il premier Renzi in visita a Firenze gli ordinò di togliersi la fascia con lo stemma regionale e un umiliato Giani ubbidì. “Io non sono renziano”, dice. E cos’è Giani? “Io sono un socialista, riformista, liberale. Il Pd è la mia casa. Io sono per un campo largo: lavoro, ambiente, sociale, la mia cultura sono i fratelli Rosselli, Giuseppe Dolfi, Sandro Pertini”. Espone una fotografia con la firma di Carla Voltolina in Pertini.

Giani sta tra chi considera Craxi un rifugiato o un latitante? Non risponde. Ha saputo che rappresenta un motivo di tensione tra gli ex amici Renzi e Lotti? “Che significa?”. Lotti spinge per una lista Giani e Renzi no, per non soffocare il debutto di Italia Viva: “Lotti è un politico capace che fa bene ai democratici, Renzi ha scelto un percorso che non comprendo. Io ho il sostegno di 18 sigle e non andremo oltre le 6 liste, dunque io faccio un passo indietro”. Italia Viva in Toscana va con i dem e altrove (forse) da sé, strategia vincente? “Io cerco il consenso da Carlo Calenda all’estrema sinistra. Io includo, non escludo”. E i Cinque Stelle? “Oggi sono concorrenti, ma se vogliono venire con noi, sono strafelice”. Tempo fa andò a una celebrazione della breccia di Porta Pia organizzata dal Grande Oriente d’Italia, il gran maestro Bisi lo menzionò con orgoglio in una intervista, ha citato il mazziniano, patriota e massone Dolfi, ha deposto corone di fiori a Giovanni Becciolini, martire dell’antifascismo e icona del Goi con un nipote anch’egli fratello, insomma Giani che rapporto ha con la massoneria? “Io sono laico su questo aspetto e nutro un grande rispetto, ma non sono inserito in quel mondo”, spiega con fastidio nell’unico attimo di tensione. Poi ricorda che ha inaugurato il comitato Giani presidente a San Miniato, ieri l’hanno accolto con gli onori a Pontedera, l’altra mattina a Carrara, di passaggio a Pistoia un Cinque Stelle gli ha confessato che il Giani è figo.