«E ora Matteo che vuoi fare?»

Dice Adele che lei è stata una dei pochi, il 5 maggio 2015, a non aver scioperato contro la Buona Scuola. «Io non ero contraria, anzi. Ma vi siete completamente dimenticati di quelli come me, del personale Ata», cioè di tutti coloro che lavorano nella scuola non facendo gli insegnanti, dai segretari amministrativi ai bidelli. «Perché?», chiede Adele. Matteo Renzi sembra per un secondo accusare il colpo: «Hai ragione», le dice sommesso, poi riprende ritmo e toni da comizio.

Certaldo, piazza Santissima Annunziata, Festa dell’Unità numero 70. È il primo venerdì pomeriggio d’agosto, non c’è un filo d’aria e ad ascoltare il segretario del Pd ci sono 250/300 persone. La maggioranza di loro sono certaldesi e molti hanno la testa imbiancata. E stanno dalla parte del leader Pd. Lo si capisce subito, alla prima domanda dal pubblico. (Formalmente l’incontro in piazza serve per presentare «Avanti», l’ultimo libro di Renzi, ma in realtà il format scelto è il botta e risposta tra il pubblico e l’ex premier). Prende la parola Antonio Capone, metalmeccanico, capolista di Rifondazione Comunista alle ultime elezioni comunali, e attacca: «I dati su lavoro e povertà dicono il contrario di ciò dice lei. Perché da premier non ha cambiato le cose?». Dalla platea partono i buuu, ma Renzi li ferma: «Boni, ragazzi, ci chiamiamo Partito Democratico: fatelo parlare». Il contestatore si allontana senza ascoltare la risposta di Renzi, ma le domande che seguono, pur poste in tutt’altro tono, non sono accomodanti. Franco gli dice: «Io milito a sinistra dal ‘61, non ho mai fatto una scissione e sono contro quelli che l’hanno fatta. Ma cosa vuoi fare del partito? Il Pd va strutturato, deve diventare efficiente… Guarda che un partito ti ci vuole, se vuoi continuare a fare politica». Un altro signore: «Matteo, io ti ho votato anche all’ultimo congresso, ma ti chiedo: non c’era modo di evitare la scissione? E ora con chi ci alleiamo?». Va così anche alla Festa dell’Unità di Fucecchio, seconda tappa della giornata (la terza sarà Santomato, Pistoia), e a Livorno il giorno dopo. La fucecchiese Vania, vestito elegante, si alza e gli dice: «La dobbiamo smettere di parlare degli altri, lo dicevi prima che non dovevamo parlare di Grillo, di Berlusconi. Parliamo di chi siamo e di quello che vogliamo fare». E un uomo sulla sessantina è ancora più diretto: «Al referendum hai preso 13 milioni di voti. Ma che li ripigli alle elezioni?». A Livorno un militante gli chiede come si può sconfiggere il sindaco M5S Nogarin, simbolo del grillismo toscano che ora può vantare anche la vittoria di Massa. (Risposta di Renzi: «A Prato, Bologna e Padova è accaduto che lavorando pancia a terra facendo opposizione, al secondo giro si è vinto e recuperato la città. Così bisogna fare a Livorno»).

Poi, certo, prima e dopo ci sono le richieste di selfie, le copie del libro firmate, «oh Matteo ma quando vieni a San Miniato?», le prime file occupate dai sindaci dell’Empolese e dai dirigenti del partito tra cui il tesoriere Francesco Bonifazi e il segretario regionale Dario Parrini, ribattezzato «WikiParrini» per i suggerimenti in materia di legge elettorale. E un leggero senso di spaesamento quando un ragazzo del Pd di Certaldo dice dal palco, introducendo Renzi con una (inconsapevole?) citazione grillina: «Noi non siamo politicanti, si sente da come parliamo. Qui uno vale uno». Ma il filo che tiene insieme le domande resta uno: e ora, Matteo, che vuoi fare?

Paolo Ceccarelli

 

 

  • Domenica 6 Agosto, 2017
  • CORRIERE FIORENTINO