di Federico Fubini
Jean-Claude Juncker ha scelto di crederci, o almeno di fingere di farlo per il momento. Il presidente della Commissione Ue chiede all’Italia solo un po’ di impegno in più perché un’eventuale scelta di prendere tempo nella procedura sui conti non appaia come un gesto di pura cosmesi. Ma l’accordo che pochi giorni fa a Palazzo Chigi si disperava di poter raggiungere, e nessuno in Europa immaginava, ora improvvisamente sembra possibile: nell’incontro di Bruxelles ieri è arrivata una prima apertura di credito per Giuseppe Conte, anche se i doni che il presidente del Consiglio ha portato alla Commissione europea erano ben poca cosa. Per questo spiraglio apertosi all’ultimo istante Luigi Di Maio e Matteo Salvini, i vicepremier , possono ringraziare il loro grande avversario: il presidente francese Emmanuel Macron che ora — malgrado lui stesso e malgrado loro — appare il principale alleato di fatto dei due leader italiani.
In questa strana vicenda non importa tanto quello 0,04% in più che Luigi Di Maio ha preteso si aggiungesse all’obiettivo di un deficit al 2% del Prodotto interno lordo per il 2019: appena 700 milioni di euro, ma il vicepremier dei 5 Stelle li ha voluti aggiungere al disavanzo perché gli servono e un obiettivo del 2% gli pareva una capitolazione, dopo aver promesso di «abolire la povertà» con il deficit al 2,4%.
Ma appunto questi dettagli contano solo per la politica vissuta sui social network. Gli economisti e gli investitori ieri ne hanno preso atto, al più, con stupore. La sostanza è invece che ieri Conte ha presentato a Bruxelles un progetto di bilancio invariato o poco più. Né M5S, né la Lega rinunciano a un cent dei piani di spesa per il reddito di cittadinanza (9 miliardi l’anno) e per l’anticipo dei pensionamenti (7 miliardi l’anno); quanto a questo, la sola differenza è che la Lega ora accetta che il ritiro a «quota 100» (62 anni di età, 38 di contributi) resti possibile solo fino al 2021. Dopo, almeno in teoria, si tornerebbe al regime attuale.
Questa è una struttura di bilancio simile a quella che la Commissione Ue aveva definito «una violazione senza precedenti». Era chiaro da subito che i programmi di spesa non sarebbero partiti da gennaio, ma in primavera, dunque qualche risparmio rispetto a un deficit al 2,4% si sarebbe trovato. Il problema resta che le spese nel 2020 e nel 2021 viaggeranno comunque a pieno regime per tutto l’anno, inducendo Bruxelles a prevedere che il deficit superi il 3%.
A questo problema Conte ieri ha presentato a Juncker il rimedio che tutti i governi italiani hanno promesso dal 2013 e nessuno ha mantenuto: una clausola di salvaguardia che fa salire l’Iva e l’accise fra un anno. Castità, ma non subito. Quella clausola è già in bilancio per 13,7 miliardi ma ora — ha detto ieri il premier a Bruxelles — salirà a venti miliardi e oltre. La Commissione Ue crede così poco a queste promesse di aumenti dell’Iva (saltano sempre) che non ne tiene neanche più conto nelle sue previsioni sull’Italia. Juncker però ieri ha scelto di mostrarsi interessato perché ora, se riesce, vorrebbe rinviare il problema italiano alla primavera o a dopo le europee di maggio.
Il presidente della Commissione ha un motivo per rinviare la crisi: sa di non poter mettere anche la Francia sotto procedura, dopo che Macron ha annunciato spese fuori dai limiti per rispondere alla rivolta dei gilet gialli; ma Juncker sa anche che, se colpisse solo l’Italia, Salvini e Di Maio userebbero la discriminazione di Bruxelles come un’arma contundente nella campagna per le europee di maggio. Perché in fondo Macron e i due italiani sono nemici con troppi punti in comune: spesa o debito pubblico che faticano a controllare ed elettori irascibili che non arrivano a fine mese. Così nemici, ma con problemi così simili, da diventare alleati di fatto loro malgrado.