Il Pd è l’unico destino per la sinistra?

Quello che conta è non lasciare isolato il Movimento 5 Stelle, impedendone un riassorbimento moderato e fiancheggiandolo dialetticamente

Antonio Floridia nel commentare (vedi qui) un incontro promosso da “Diritti a sinistra” e Crs Toscana (“C’è vita a sinistra del Pd?”) conclude sostenendo che sì, in Europa, “c’è vita a sinistra”, salvo che in Italia: i dati elettorali di Die Linke, Podemos, Syriza, ma anche della France insoumise, del Parti du travail de Belgique, del Bloco de esquerda in Portogallo, dell’Alleanza rosso-verde in Danimarca, del Partito rosso in Norvegia, fino al movimento Momentum di Bernie Sanders, lo testimoniano. Dunque nel nostro paese esisterebbe una “prateria” a sinistra del Pd che non si riesce veramente a occupare. E qui sarebbe utile una riflessione, come quella auspicata da Floridia, sul perché nel nostro Paese il consenso alle forze di sinistra sia così modesto.

Nella sinistra sopravvissuta c’è chi si propone di riconfluire nel Pd tramite la partecipazione alle Agorà inaugurate da Letta, chi vuole promuovere una qualche aggregazione elettorale di sinistra salvo poi fare parte del “campo largo” con al centro il Pd stesso, e infine chi si avvia a correre una corsa solitaria senza alcuna alleanza “contaminante”, condannandosi a un minoritarismo identitario. E c’è chi propone di “saltare” un turno elettorale, come se questo di per sé potesse risolvere il problema della costruzione di un partito di sinistra.

È possibile allora ipotizzare una presenza di sinistra autonoma culturalmente e politicamente, non subalterna al Pd e non costretta a pura testimonianza?

Il Pd come partito dell’establishment

Il Pd negli ultimi dieci anni ha praticamente perso tutte le elezioni politiche (nel 2013 e nel 2018), ma è stato quasi sempre al governo. È chiaramente il partito a cui guarda l’establishment per garantire stabilità e continuità nell’attuazione delle politiche richieste dalla Unione europea. È un partito di fatto ex-socialdemocratico, ora con un asse centrista, che ha abbandonato i ceti popolari in quanto questi gruppi sociali erano refrattari alle cosiddette “riforme” (per esempio, delle pensioni o del mercato del lavoro). Allo stesso tempo, si deve constatare che non si è costituito un nuovo blocco sociale dominante stabile. Così i partiti governativi tradizionali non sono più in grado di ottenere un consenso elettorale durevole.

Il governo Monti, appoggiato dalle classi benestanti e da una frazione delle classi medie, è stato sostenuto da Pd e Forza Italia, superando la divisione tra la destra e la sinistra, partiti che si sono trovati uniti nel sostegno alla costruzione europea e alle riforme di stampo neoliberista: è quello che Stefano Palombarini chiama il “blocco borghese”, una coalizione simile a quella che sarà aggregata qualche anno dopo da Macron in Francia. Dopo Monti, nell’arco di sette anni, si sono poi succeduti i governi Letta, Renzi e Gentiloni fino al 2018.

Nelle elezioni del 2018 “le classi sacrificate dalle riforme del blocco borghese avevano cercato una strada per esprimere la loro sofferenza e il loro scontento” (Stefano Palombarini), votando per la Lega e soprattutto per il Movimento 5 Stelle (considerati insieme, ottennero il 50% dei voti). Il governo Conte 2, in particolare, è stato silurato anche con una forzatura istituzionale da parte di Mattarella. Il problema era rappresentato dalla presenza del Movimento 5 Stelle giudicato inaffidabile da parte dei poteri dominanti italiani ed europei.

Oggi, il governo Draghi, sostenuto a spada tratta dal Pd, è la garanzia richiesta dalla Unione europea e dall’asse Parigi-Berlino per fornire all’Italia i capitali del Recovery Plan.

Il Pd rappresenta dunque una forza politica che, con difficoltà e molto ottimismo, una piccola aggregazione di sinistra può pensare di convincere ad adottare politiche utili per i ceti popolari. Un segnale preciso – come sottolinea Floridia – si è avuto in occasione dello sciopero generale proclamato recentemente da Cgil e Uil, con l’assordante silenzio in merito del Pd,partito nel quale la componente interna di sinistra è “ridotta ai minimi termini”.

Quali sono, infatti, oggi i risultati che il Pd può vantare dopo la lunga presenza, a vario titolo negli ultimi quindici anni, nei governi nazionali, si domanda Piero Bevilacqua su “il manifesto” del 4 dicembre 2021? Nell’ambito della vita sociale, nelle politiche del lavoro, nella scuola, nella sanità, nel sistema fiscale, nelle politiche ambientali, del territorio, nella condizione giovanile, nel Mezzogiorno? La sua risposta è perentoria: quindici anni di generale regresso! Bevilacqua inoltre critica il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni,perché “non vede davanti a sé, e alla sinistra tutta, nessun’altra prospettiva se non il campo del centro-sinistra. Tanta ampiezza di visione – afferma – francamente sconforta”. Per lui il Pd è, nelle sue fondamenta, “un errore strategico. Non solo perché è ‘un amalgama’ mal riuscito, ma soprattutto è una camicia di forza imposta alle varie culture politiche nazionali, uniformandole in una politica centrista nella fase di scatenamento del capitalismo su scala mondiale”. Parole dure ma chiare.

Un’analisi realistica – afferma Loris Caruso sempre sullo stesso quotidiano del 28 ottobre 2021 – non può non considerare la natura di questo partito: “Un serio confronto con i fatti non è quindi detto che conduca, a considerare efficace, per la sinistra, la collocazione nel centrosinistra”.

Affermazioni, queste, importanti, che mettono in discussione una consolidata certezza lunga trent’anni, per cui ogni dibattito a sinistra era condizionato dal rapporto imprescindibile col Pds-Ds-Pd, in chiave progressista, antifascista, antiberlusconiana.

Si ripropone perciò la domanda: il Pd è l’unico destino per una sinistra che vuole rinascere? Per tanti lo è ancora, anche animati da buone intenzioni. Noi pensiamo di no. Le buone intenzioni non bastano più.  E non solo perché il suo peso è uno degli ostacoli che ne impedisce questa rinascita. Ma anche perché il suo è anche un ostacolo di natura politica, sociale e ideologica, per non dire geopolitica. Per dirla ancora con Bevilacqua, da quando è nato, “il Pd, con il suo moderatismo, ha obiettivamente costituito una forza di conservazione negli equilibri sociali del Paese”. Diremmo di più. Il suo impianto ideologico lo fa essere il veicolo privilegiato per l’affermazione dell’ideologia neoliberale delle “libertà negative” e del “politicamente corretto”, della fedeltà stretta alle istituzioni euro-atlantiche, dal ruolo aggressivo della Nato all’establishment europeo.

Sempre Loris Caruso così conclude il suo articolo: “Forse, di fronte a un’analisi realistica dello scenario politico e della natura del Partito democratico, sarebbe più efficace realizzare un progetto politico innovativo rivolto a una parte del vasto astensionismo popolare, all’elettorato progressista deluso da Pd e M5S, e a un mondo di attivisti e militanti di sinistra dotati di una voglia d’azione che in questo momento non ha casa”.

“Serve una casa”. Quale? Né minoritaria né subalterna al Pd

Ma con quale strategia politica? E dove collocarsi? In quale casa? Il tema dell’autonomia dal Pd è stato sempre declinato a sinistra in termini di autosufficienza e di competizione alternativa al Pd, al quale si contendeva il consenso del suo blocco sociale di riferimento considerandolo ancora la base sociale di una politica alternativa di sinistra. Errore, questo, di valutazione e di analisi sulla natura di quel consenso, che tutti i dati a disposizione, compresi quelli elettorali, smentiscono. Non è un caso che la natura del voto a sinistra, anche di quella più radicale, è simile a quello del Pd, concentrato nelle città e nelle sue aree centrali, e non nelle periferie urbane e nelle campagne. Il voto al Pd non rappresenta più il voto operario e popolare, ma sostanzialmente quello dei pensionati e del ceto medio impiegatizio e urbano, relativamente benestante, moderato e in cerca di stabilità, elettorato tutt’altro che radicale.

L’errore delle formazioni neocomuniste è sempre stato, però, anche quello di puntare sull’identità ideologica, trascurando le esigenze e l’importanza della politica e della manovra tattica per far avanzare una strategia di crescita della propria influenza nel consenso dei ceti popolari.

Altro errore che si imputa loro è la mancanza di unità. “La critica, che muoviamo da sempre – afferma infatti Norma Rangeri – riguarda la mancanza di unità tra le numerose forze che vivono, vivacchiano, sopravvivono, a sinistra del Pd, e che mettono al primo posto le proprie bandiere, le proprie ragioni, la propria identità”.

Quale sarebbe allora una strategia politica per consentire che si affermi un progetto di ricostruzione e rinascita di una sinistra nel nostro paese che non sia minoritaria, né subalterna al Pd? Come si riconquista il consenso dei ceti popolari e del mondo del lavoro? Intento tutt’altro che facile. Certamente non guardando strategicamente all’elettorato del Pd e non facendo del Pd l’asse intorno a cui ruotare. Alle ultime elezioni politiche le aree di sofferenza sociale hanno votato i 5 Stelle e in parte anche la Lega, non il Pd. E servirebbe anche una severa disamina della crisi del sindacalismo confederale, ancorato da anni su una gestione difensiva e corporativa del conflitto sociale a protezione delle vecchie roccaforti, sempre più fragili, del suo passato insediamento fordista. Non sarà un caso che gli operai al Nord votino in prevalenza per la Lega e che i giovani precari, insieme alle partite Iva, siano stati tra i referenti sociali del consenso ai 5 Stelle.

Oggi il sistema politico italiano è articolato sostanzialmente su tre poli, centrodestra, Pd e Movimento 5 Stelle, con quest’ultimo in evidente declino. Declino imputabile alla sua incapacità di dare uno sbocco politico alle domande di cambiamento che lo avevano investito, in particolar modo tra i giovani e nel Mezzogiorno, dove aveva raggiunto punte inusitate di maggioranza assoluta di consensi. Oggi quella domanda di cambiamento si è riversata in gran parte nell’astensionismo. A questo esito ha certamente contribuito l’isolamento autosufficiente voluto e cercato dalla miopia del suo gruppo dirigente, ma anche da una mancanza di interlocuzione seria da sinistra, che ha sempre preferito invece il dialogo-scontro con il Pd rispetto a quello con i 5 Stelle. Ora il quadro è cambiato in peggio. La crisi del Conte 2, e l’avvento del governo Draghi, hanno imposto linee-guida di governo più moderate e ispirate a una più coerente osservanza alle regole e alle strategie delle élite nazionali (padane) ed europee e il Movimento 5 Stelle si trova ora coinvolto in un’alleanza di governo in cui rischia il definitivo assorbimento in un’orbita moderata egemonizzata dal Pd.

Un “polo di sinistra” che dialoghi con i 5 Stelle

L’attuale governo Draghi tiene infatti queste forze unite in un’alleanza innaturale, destinata a sciogliersi con le prossime elezioni. Qual è la strategia dell’establishment che conta per assicurare la governabilità e la stabilità del sistema politico e la sua fedeltà e aderenza agli interessi dominanti di ordine nazionale, europeo e internazionale?

Il Pd ha oggi una funzione di “equilibratore di sistema”, di garante di questi equilibri e, intorno ad esso, si provano a disegnare nuovi assetti di governo che tengano insieme il Pd con Forza Italia, con l’area centrista (Renzi, Bonino, Calenda), e magari con la parte governativa della Lega di Giorgetti. Ma questa operazione potrà avere successo solo se sarà completata l’opera di distruzione e assorbimento del Movimento 5 Stelle nell’orbita neocentrista del Pd.

Lo scenario di questa alleanza sarebbe però completamente diverso da quella sperimentata col governo Conte 2, in cui il ruolo e il peso di Conte e dei 5 Stelle hanno positivamente condizionato questa funzione conservatrice del Pd. Non a caso il suo governo è stato da subito osteggiato dal mondo della finanza e dalla Confindustria, con i loro media e portavoce, politici e “giornalisti” compresi.

Oggi, in queste condizioni mutate, l’ingresso del Movimento 5 Stelle in questo progetto di governabilità sarebbe una iattura da scongiurare, e segnerebbe la fine anche di ogni ambizione di introdurre nel sistema politico italiano istanze di cambiamento sociale e di innovazione democratica, che avevano trovato nei 5 Stelle, e non nella sinistra “radicale”, una possibile base di rappresentanza, a differenza di quanto avvenuto in altri Paesi europei.

Se la sinistra vuole rinascere, dovrebbe innanzitutto ostacolare tale progetto e assumere l’interlocuzione ravvicinata con i 5 Stelle e l’area dei delusi del Movimento come privilegiata rispetto a quella tradizionale col Pd e la sua base sociale, fino a ipotizzare con esso alleanze elettorali, valorizzando alcuni contenuti tradizionali di quel Movimento, che sono stati alla base del consenso ricevuto: come il salario minimo; una revisione più avanzata del reddito di cittadinanza ancorato a politiche pubbliche del lavoro; una transizione ecologica che rispedisca al mittente le tentazioni neo-nucleariste di Confindustria e Lega; una riforma del fisco più attenta agli interessi dei redditi medio-bassi e del mondo del precariato giovanile e delle partite Iva; un rilancio della battaglia per i beni comuni, contestandone i disegni di privatizzazione; una separazione tra le banche d’affari e quelle d’investimento, introducendo una Banca interamente pubblica per una nuova politica di rilancio e riconversione dell’economia. E soprattutto dovrebbe proporsi come referente politico per il riscatto del Mezzogiorno contro l’autonomia differenziata, come Partito del Sud, portatore di una rinnovata visione unitaria neo-risorgimentale del Paese alternativa al Partito trasversale del Nord, egemonizzato dagli interessi antimeridionali e neocoloniali del blocco industriale padano.

Sono solo degli esempi. Quello che conta è la collocazione politica strategica nel non lasciare isolato il Movimento 5 Stelle, impedendone un suo riassorbimento moderato, ma fiancheggiandolo dialetticamente da sinistra, rivitalizzando alcune loro battaglie e rilanciandone di nuove e diverse in nome di – e insieme con – quel popolo deluso di sinistra e del Movimento 5 Stelle, che spesso coincidono, desideroso di riavere una propria casa. Si può lavorare all’aggregazione di un “polo di sinistra” che si proponga con ambizione un simile tentativo e obiettivo, che dialoghi lealmente con i 5 Stelle? Poi di alleanze, tattiche, col Pd si potrà anche discutere.

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